Non è facile scrivere di musica oggi. Bisogna innanzitutto che ci intendiamo sul concetto di musica. Credo che i più pensino che col termine si intenda “quello che si suona in discoteca”.
Lasciamo perdere il resto, dunque. E parliamo della nostra musica, quella esagerata, fatta di bassi e casse in quattro. Stiamo parlando di migliaia di produzioni legate ai dj del momento e non, che si ostinano a sperare nel successo cavalcando una passione.
Sperare di raggiungere la notorietà con un disco, pardon, una traccia.
Sì, perché grazie a Dio basta poco (cit. Vasco Rossi) per sperare: un laptop, un programma, alcune idee, poco importa se sono troppo uguali al pezzo (intendo alla traccia musicale, obviously) di riferimento, tanto anche “lui” avrà sicuramente copiato.
Così nasce una infinità di suoni, più o meno belli, che sono comunque “musica”, pronta a intasare i liquid store, le nostre mail, i cestini delle nostre mail, facebook ed i social network. E che c’è di male? Oggi “fare il DJ.” (o essere DJ?) è molto di più che una moda, è uno status.
Rispetto a qualche anno fà, questa professione non suscita più ilarità o facce interrogative nella gente comune, bensì rispetto. Così durante il liceo o l’università, la possibilità di un inserimento nei club come dj o nel panorama internazionale come producer diventa una valida alternativa alla miseria. Diventa un vero e proprio lavoro, retribuito. Perché allora ritenere tutto questo assurdo? Del resto le possibilità di centrare una hit e quindi di riuscire ad ottenere soldi e successo sono più alte di quelle che il mercato del lavoro mette in palio (è forse più probabile vincere un concorso pubblico od ottenere un normale e noiosissimo lavoro in una azienda privata?).
Ben vengano dunque i dj!!!
Ma perché l’appeal di un professionista dei decibel è così sbilanciato verso producer di importazione? Quasi che nessuno qui, in Italia, nonostante le speranze e le proprie abilità sia in grado di conquistare una consolle di tutto rispetto. Certo è colpa del mercato. Spietato mercato, un killer senza faccia e senza nazionalità che detta regole e ci prende per il collo.
Perciò migliaia di dj nostrani sembrano destinati a proporre la propria arte nei bar, alle feste in casa, oppure, a sognare un mare di braccia tese (cit. Lucio Battisti) magari davanti alla riproduzione Ikea di un quadro di Matisse chiusi nella propria camera da letto.
Non per questo bisogna desistere, la rete è infinita e quello che ha di buono, è che è un potente strumento per farsi conoscere, promuovere e promuoversi, crearsi il personaggio a costo zero.
Dimentichiamo quello che è successo prima di noi, se ieri è già troppo lontano lasciamo perdere gli anni ’90 o peggio gli anni ’70, insomma l’origine della specie, l’homo dj sapiens. Quei tempi non esistono più, anzi, non sono mai esistiti. Ma chi erano mai questi Beatles? (cit. Dalla, che notoriamente non è un cantante ma un consiglio).
Ciò che abbiamo di fronte è completamente nuovo e nulla c’entra con il passato remoto. Giradischi, mixaggio, vinili ma che cosa sono mai queste antichità? Lasciamo perdere litanie, prediche, sermoni di chi dice: sono stato grande nel passato (Big in Japan, cit. Alphaville).
Allora orde infinite di dj in erba perseverate e diffidate da chi con aria saccente vi suggerisce che è più redditizio fare il piastrellista o l’idraulico. Per queste onorate professioni, credetemi, c’è sempre tempo. E poi, oggi, chi se ne frega di un idraulico? Passate sopra i consigli noiosi dei vecchiacci del mixer, energumeni “scartellati” e ingobbiti da anni di inutile fatica nel trascinarsi appresso centinaia di chili di vinili inscatolati in pesanti casse. Che imbecilli! Viene da pensare: oggi basta una chiavetta usb per avere l’equivalente di 1000 kg di musica.
Il dj producer di oggi divide il suo tempo tra la ricerca del suono su beatport ( p.s. se lo trovate fatemi un fischio) e la palestra.
Oggi il dj è un metrosexual, elegante e soprattutto palestrato. Altrimenti come diavolo farebbero quelle magliette con la “V” aperta fin all’ombelico a vestire così bene?
Un occhio al management è indispensabile.
Bisogna saper vendere bene il fumo (in senso metaforico ovviamente).
Un management di quello spietato però, che risponde con voce impostata: per i sabati non se ne parla nemmeno sino al prossimo anno, ma se vuoi un martedì, tra due settimane ne ha uno libero. Il look meglio della cultura? Sì, cavolo e non vergognamoci di gridarlo ai quattro venti.
La pelata può scomparire sotto un crine posticcio, incollato sul cranio, meglio biondo e con ciuffo Emo (qualcuno fa il nome?), bicipiti e addominali scolpiti, vestiti all’ultima moda e una lussuosa fuoriserie. Ok siete perfetti. Donne al seguito, “tacchi a spillo e sguardo da star” (cit. 883) beh…i tacchi a spillo… ma per favore…
Massimo Cominotto