Domenica scorsa con lo straordinario concerto di Flying Lotus si è chiuso Club To Club.
Il festival organizzato dall’Associazione Culturale Situazione Xplosiva a Torino, giunto a dodici edizioni, può essere considerato come l’attuale punto di riferimento della cultura elettronica nel nostro Paese, anche se il direttore artistico Sergio Ricciardone ci tiene a specificare che: “C2C non è un festival di elettronica. E’ un festival di musica“.
Un evento che ha portato negli anni la nuova onda della musica italiana a girare l’Europa da Istambul fino all’ultima preview a Londra, che ha accolto a braccia aperte leggende della consolle quali Lory D e Daniele Baldelli insieme ai talenti di oggi Lucy, O/One Circle e gli Esperanza, assaggiando il tema di questo 2012: The Future is yet to come.
Seguendo lo stesso principio di contaminazione culturale sono stati portati sul palco dei Magazzini Generali a Milano gli americani Liars e lo spettrale producer britannico The Haxan Cloak; all’Auditorium RAI di Torino è stato presentato Mala in Cuba, progetto nato dalla collaborazione tra il boss dei DMZ, Gilles Peterson ed alcuni talentuosi musicisti cubani.
Più che in passato Club To Club si è caratterizzato per la sua voglia di sfida non soltanto in termini musicali (il confronto tra la tradizione techno ed i recenti sviluppi made in Uk), ma anche sotto l’aspetto sociologico (dai ravers agli hipsters) e della percezione della cultura giovanile in Italia.
Per quanto al primo aspetto si è partiti subito forte, con lo stesso Ricciardone a schiaffeggiare col guanto sua eminenza Jeff Mills: “Dici che la Techno va ascoltata senza ballare? Benissimo, allora se ti do il Teatro Carignano tu cosa fai?”
The Wizard ha preso la palla al balzo ed ha risposto con sintetizzatori analogici, drum machine e Claudio Sinatti ai visual.
Il risultato è stato affascinante ma non perfetto (anche perchè trattandosi di un debutto non sarebbe potuto essere altrimenti visto anche il tempo a disposizione), ed ha lasciato il pubblico a litigare tra chi si è esaltato in poltrona e chi invece non vi ha visto nulla di speciale, accusandolo di aver pestato comunque troppo sulla cassa sul lato dance.
A nostro avviso, e la performance del venerdì allo Chalet ne è l’ennesima conferma, l’amatissimo Dj detroitiano dovrebbe rassegnarsi al ruolo di grande sacerdote della Techno perchè, ogni volta che è dietro l’altare, i quattro cdj dell’Apocalisse scatenano l’Armageddon e tormentano le nostre anime. Insomma di stare fermi e composti manco a parlarne.
Regis scalda la pista per Jeff seppur in un set azzoppato per colpa del Dj resident Claude, che si è rifiutato di rispettare la time table (per suonare cosa poi? L’ennessima scopiazzata tech a la Berghain). Il British Murder Boy in appena 40 minuti mette in guardia circa la violenza delle basse frequenze, e spiega in maniera approfondita cosa voglia dire essere artisticamente dei visionari.
Il futuro deve ancora venire? Dato il livello della vecchia guardia è probabile che almeno un giro se lo sia già fatto!
Il locale è pieno ma non sold out, la massa è all’Hiroshima Mon Amour per lo showcase Hyperdub.
Kode 9, la sua banda, e i Disclosure sono come miele per gli hipsters: i ragazzi dell’indie pop hanno scoperto non solo che ballare fino all’alba è divertente, ma che Dj e produttori sono ottimi argomenti da spippolamenti pseudo intellettuali. Per la musica preferiscono le storie dubstep evidentemente per non sentirsi in colpa nell’apprezzare la cassa dritta. Non conoscono Dubstepforum ma leggono Vice. Sul look infine nessun problema: la dance è sempre stata a base di baffi, occhiali da sole e vestiti eccentrici. Si è passati dalle Buffalo alle Superga.
Chi naturalmente non li può soffrire è il popolo della Techno, sempre vestito casual e una foto degli UR sul cuscino. Certo si tratta di una specie in via d’estinzione, mentre chi resta sempre fertile è il tamarro da discoteca o truzzo che prolifera ovunque vi sia un beat in 4 ed un basso in levare. Dagli anni ’90 non hanno subito sostanziali cambiamenti.
Indovinate con chi abbiamo trascorso la notte allo Chalet…
Il sabato al Lingotto è la grande festa in cui ci si dimentica della tribù di appartenenza: la line up unisce fine ricerca (Shackleton, Clark, Kuedo), gusto ormai acquisito (in Europa) come Pop (Talabot, Holden, Sbtktr, Apparat, Scuba), nazional popolare (Dettmann, Nina Kraviz pronta per il Bagaglino) e casino adolescenziale (Rustie).
In base a tutto questo Club To Club non è un qualsiasi festival di musica, ma una manifestazione di prim’ordine capace di fotografare il tempo presente della cultura Pop (a partire dall’inclusione nel logo dell’hash tag twitteriano), che si meriterebbe una migliore considerazione da parte dei grandi media nazionali.
Appare bizzarro che affianco degli inviati di importanti quotidiani stranieri come The Guardian o The Independent ci siano unicamente giornalisti/blogger underground mossi dalla passione. Questo la dice lunga su come nel nostro Paese meritocrazia e innovazione vengono considerate.
Sulle pagine dei giornali italiani si discute o di tombe etrusche o direttamente di tette e culi, col sempre verde Vasco vs Ligabue.
Morti viventi come Luzzato Fegiz passano dal definire il mercato dance di nicchia e irrilevante (DJMAG di maggio) a celebrarne i fasti pochi mesi dopo sulle pagine online del Corriere, mentre Repubblica con riferimento al tragico rave di Cusago intervista il massimo esperto Dj Aniceto, un cialtrone che è diventato un personaggio grazie a Chiambretti.
Mettiamoci anche che in Italia se a far qualcosa è qualcuno con meno di 60 anni (con le proprie forze e senza il supporto di istituzioni clientelari rimaste ancora ai fratelli Lumiere) è bollato come un ragazzino che vuol giocare (chiedere alla crew dell’ottimo Dancity), ed allora devi far ricorso alle tue motivazioni più forti per trovare la voglia di andare avanti.
Se dopo oltre dieci anni di proposte artistiche le cose non sono cambiate più di tanto perdere la fiducia potrebbe sembrare un’opzione ragionevole, anche se effettivamente…The Future is yet to come!
Federico Spadavecchia