One Night in New York City

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È curioso come proprio nell’anno della non estate (ma dove son finiti il caldo e il mare?!) con la sua soundtrack tutta hypnagogic pop, abbia scelto di trascorrere le vacanze a New York, una città per la quale proviamo da sempre uno strano senso di nostalgia. Abbiamo girato per l’East Side con i Jefferson ed il Queens con Eddie Murphy; Gordon Gekko ci ha accompagnato per i palazzi del potere giù a Wall Street, e nel Village ci siam fatti quattro risate ad un caffè con i nostri Friends.
Impossibile quindi non mescolare fantasia e realtà mentre si passeggia per una strada qualsiasi, un pò come se avessimo sempre abitato all’ombra della Statua della Libertà. Una memoria modificata dall’allucinazione televisiva.
Se poi passiamo alla musica beh allora probabilmente, escludendo qualche capatina a Londra e a Berlino, non ci siamo mai mossi da sotto la console del Paradise Garage.
Il nostro viaggio nella scena ha inizio all’Home Sweet Home, un oscuro scantinato a Little Italy, dove ogni mercoledì si riuniscono i ribelli di un mondo post atomico vestiti di piume e corazze (avete presente i Sigue Sigue Sputnik?). Un manipolo di spettri androgini si dimena al ritmo della new wave anni ‘80 proposta dapprima dal Dj e poi da un gruppo dal vivo. Peccato solo non essersi imbattuti in un concerto minimal synth di Martial Cantarel perchè il locale è davvero figo ed i suoi clienti abituali sono al di là del bene e del male.

Sebbene provati dalla fatica di un viaggio assai mattiniero e da una giornata di turismo sfrenato per Lower Manhattan resistiamo abbastanza per comprendere i fondamenti della club culture cittadina: innanzitutto le serate migliori nei locali del centro sono raramente programmate nel weekend o al venerdì; gli orari poi prevedono che si apra presto intorno alle 22 e che si chiuda massimo alle 4 del mattino incoraggiando i ballerini ad entrare il prima possibile riservando loro vantaggi come non pagare l’entrata (mai sopra i 20 Dollari) o il bar fino ad una certa ora, chi comunque volesse tirar tardi col sole già alto non dovrà far altro che diventare socio di un afterhour club. Infine il pubblico non supera mai le poche centinaia di unità ma, proprio per il carattere underground delle feste, è quanto di più colorato e coinvolto si possa trovare, roba da far invidia ai fedeli delle chiese di Harlem!
Parlando di congregazioni merita un discorso particolare il capitolo negozi di dischi. Da qualche tempo infatti New York si è liberata di ogni megastore musicale, lasciando il mercato nelle mani di piccoli esercizi indipendenti divenuti veri e propri templi per gli appassionati.
Ad occuparsi di musica elettronica abbiamo Other Music a Soho, specializzato in avanguardia e derivazioni wave in prevalenza su cd, e Halcyon a Brooklyn, da dieci anni punto di riferimento per tutti i Dj’s locali, sede della label house/nu disco Scissor & Thread, ma soprattutto ponte tra il movimento americano ed europeo promuovendo le techno nights del Bunker (club di Williamsburg che lavora al venerdì e al sabato), dove è infatti possibile imbattersi negli artisti di casa Berghain.
Questi negozi sono inoltre i posti migliori per informarsi sulle serate più hot in città, senza contare che molto spesso ospitano tra le loro mura interessantissimi showcase.

Il primo impatto con il sottobosco house a stelle e strisce non avviene però sulle mattonelle luminose di una discoteca, bensì nella suggestiva succursale del MoMa, Ps1, nel Queens. Tutti i sabato pomeriggio di luglio e agosto, infatti, si tengono gli happening targati Warm Up: il museo d’arte moderna mette a disposizione il proprio cortile dalle 14 alle 21 per quello che si può definire a ragione Intelligent Clubbing.
Dimenticatevi i marcioni fini a sè stessi del Bar 25, qui ci si muove per amore dell’arte e dello stare insieme magari portandosi dietro i figlioli. Anche in questo caso prezzi davvero popolari per entrare e bere (signori finalmente un party con della birra seria e non quella broda detta Heineken), godersi l’esposizione di turno e buttarsi nelle danze.
Il calcio d’inizio spetta a XXXY (vi giuro che si chiama proprio così!!!) con una selezione a metà tra future garage e house made in NYC, perfetta per sdraiarsi all’ombra di questo giardino Zen e piano piano avvicinarsi alla pista.
Il titolo di rivelazione d’estate spetta di diritto al talento locale Ital con un vibrante laptop live d’ispirazione Border Community. Partenza eterea e cristallina, quindi il basso prende sempre più corpo fino a rapire le nostri menti in un vortice prog house da mani al cielo e sorrisone ebete ipercontagioso.
Cosa dire poi di Vockah Redu? Immaginatevi di trovarvi davanti a Boney M. in botta da psicofarmaci che, vestito solo di una camicia di forza, tenta di scappare da un paio di fustacci della Neuro!!
Ecco a questo punto diventa obbligatorio sottolineare l’importanza della comunità gay e arty per la vitalità della scena, senza il loro apporto infatti trascorreremo noiosissime serate in coda all’entrata di un Dorsia ormai abbandonato.
Un’ora a disposizione per Das Racist che propone dapprima il dj set e quindi il live a tre mc’s stile De La Soul.
Il gran finale a base di classiconi e abbracci vede protagonisti Prince Language & Stretch Armstrong. Il tramonto sull’Hudson benedice una giornata davvero speciale.

È per visitare la High Line (la vecchia rete sopraelevata della metro rinata sottoforma di giardini panoramici nel West Side) che incrociamo per la prima volta il Cielo.
Dietro una porta dall’apparenza modesta si trova l’ultimo depositario della Febbre del Sabato Sera. La politica di tolleranza zero portata avanti gli anni passati dal super sindaco Rudy Giuliani ha sì ripulito le strade del centro ma ha di fatto quasi ammazzato la club culture urbana; locations come il Twilo o il Vinyl sono ormai solo bei ricordi indi per cui la disco del Meatpacking District ha sulle spalle tutta o quasi la responsabilità di difensore della tradizione danzerina mantenendo viva la memoria delle folli notti allo Studio 54, al Sanctuary e al Paradise Garage.
Per quel che riguarda le residenze più significative, incredibilmente il lunedì e il mercoledì, sono affidate a due veri sopravvissuti dell’epoca d’oro della disco music: Francois Kevorkian e Little Louie Vega.
E così per la Deep Space Night del patron della Wave records troviamo in consolle Brendon Moeller, autore tra l’altro del prossimo singolo sull’italianissima Exprezoo rec.
L’uomo dai mille alias è solo sul ponte di comando, a lui il compito di gestire per intero la festa: la partenza è una disco talmente vellutata che sembra uscire dai divanetti anzichè dall’ottimo Funktion One, il cui contributo sarà fondamentale più tardi nella diffusione del verbo dub.
Il Cielo non è il club immenso e sfarzoso che si potrebbe immaginare pensando ad una città come NYC, anzi visto da fuori sembra un comunissimo magazzino portuale.
Una volta dentro, però, difficilmente si può restare indifferenti davanti alla sua sobria eleganza: divani ad isola, bar ben fornito, dancefloor in parquet sui cui brillano costellazioni di strobo, e cabina di regia rialzata e spaziosa. L’acustica semplicemente perfetta.
Pubblico maturo e voglioso di divertirsi tutto sorrisi e breakdance. Belle ragazze, appassionati di musica, ballerini provetti e gay, il vero Dj è colui che riesce a coinvolgere tutti quanti nella sua visione.
The Echologist sta suonando alla grande giocando con tutti i riflessi che offre il dub, dalla Deep al Dubstep all’House più tradizionale per ben 5 ore e mezza. Ci credereste se vi dicessi che davanti a lui non ci sono migliaia di clubbers in delirio ma forse giusto una sessantina? Come già ci aveva raccontato a Natale Adam X il popolo dei nottambuli a stelle e strisce è una riserva indiana, ed il locale di conseguenza è stato progettato per avere una capienza sulle 300 persone.
Tuttavia il motto americano è: sii sempre professionale qualunque lavoro tu svolga. Quante volte è successo in Italia di vedere la guest star interrompere lo show prima del previsto perchè non c’era abbastanza gente? Ecco qui non solo una cosa del genere è impensabile, ma anzi per rispetto dei presenti ci si impegna al massimo.
Il caso vuole che anche mercoledì non ci fosse il titolare di piatti e mixer, ma nulla da dire se al suo posto ci sono altri tre big names della scena: resident d’eccezione Kevin Hedge, ovvero metà dei leggendari Blaze (ask yourself: can you dance to my beat?!), e come ospiti Master Kev & Rob James.
Nome del party: Roots, servono altre spiegazioni? La sensazione di essere tornati indietro nel tempo a quando tutto era una scintillante novità è davvero forte, e ognuno dei cento ballerini accorsi mette in mostra i suoi passi migliori. Lo spirito di condivisione del Loft di Dave Mancuso ha trovato la sua casa.
L’emotività della musica oltre la fredda ma funzionale meccanica del ritmo.

Ora capisco come fosse possibile scoppiare a piangere durante i set di Lerry Levan, ma le mie lacrime in questo caso son dovute al fatto di dover prepare le valigie e tornare a casa.
New York ci ha chiaramente mostrato come, nonostante i suoi mille paradossi, sia la Capitale del mondo con il suo melting pot di razze e culture diverse perché alla fine dei conti you may be black, you may be white; you may be Jew or Gentile. It doesn’t make difference in our House, and this is fresh!

Federico Spadavecchia

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