Nella musica è inutile porsi vincoli e scadenze cercando di realizzare canzoni seguendo fedelmente la ricetta del manuale, perchè tanto alla fine sarà il corso degli eventi a determinarne la riuscita e l’ispirazione.
Prendiamo il caso dell’ultimo disco dell’icona new wave Gary Numan, il quale era partito con l’idea di pubblicare semplicemente una raccolta di vecchi demo rifiniti per tenere in caldo il pubblico nell’attesa del suo prossimo lp, Splinter (a suo dire fenomenale), ed invece grazie all’insistenza del produttore Ade Fenton, convinto della bontà del materiale a disposizione, da alla luce Dead Son Rising, campionario electro rock di futuristiche visioni apocalittiche.
Il tema religioso dei lavori precedenti viene messo da parte (anche se visti alcuni titoli non del tutto): il Glaciale torna a cantare mondi dominati con pugno di ferro dalla tecnologia, traendo nuova linfa dalla passione per la scrittura di fantascienza cui si è dedicato negli ultimi anni.
Non meno importante è il lato sentimentale alimentato da relazioni tormentate sia d’amore che di amicizia.
In quest’atmosfera onirico decadente l’unico colore con cui può essere dipinto il suono è il nero.
Un’oscurità densa in cui però è facile riconoscere le ombre dei tantissimi figli legittimi e non di Gary (Nine Inch Nails, Marylin Manson, Nietzer Ebb, Prodigy ecc…).
Tastiere e chitarre sono usate come seghe elettriche sulle lamiere per lacerare l’ascoltatore con riff ruvidi e graffianti. In nostro soccorso però c’è la voce calda, profonda e dolorosamente umana di Gary.
Tra anthems da stadio e momenti intimisti è difficile restare indifferenti davanti alla freschezza di un artista che, con 30 e passa anni di carriera alle spalle, ritiene inconcepibile vivere di rendita ed armato del suo fedele sintetizzatore è sempre pronto a sfidare il futuro.
Federico Spadavecchia