Club Transmediale ’12

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Ho iniziato a scrivere questo reportage prima ancora di partire. Seduto su un treno stranamente puntuale nonostante la neve, scopro dal giornale del mio vicino che il figlio di Sarkò fa il Dj e si fa scarrozzare con i voli di Stato, quindi che al prossimo Sanremo Martin Solveig terrà un Dj contest.
Mentre riporto lo sguardo sull’intervista a Frankie Knuckles che stavo leggendo, sento crescere dentro di me la necessità di andare via il più lontano possibile, anche se ci sono -10 gradi, anche se Berlino sta cambiando e non è più la stessa, anche se sono ben cosciente del fatto che ormai siamo come quei cowboys ostinati che si spingono ancora più ad ovest in cerca di terre selvagge ed avventure, quando il mondo dell’elettronica è già stato colonizzato da un pezzo.
La Transmediale è la frontiera, qui è possibile tastare il polso della situazione e comprendere se la musica elettronica è in grado di mantenere una valenza culturale o è diventata definitivamente una giostra.
Ripensando alla scorsa edizione, caratterizzata da mille problemi organizzativi ed artistici, le paure erano forti ma, visti gli ultimi ritocchi al cartellone, la levataccia per il primo volo del mattino è stata per l’ennesima volta inevitabile.
Arrivati il giovedì della seconda, e conclusiva, settimana iniziamo a darci da fare già alle 19.30 per il live di Mohn nel teatro HAU1.
Il nuovo progetto di Wolfang Woigt insieme a Jorg Burger è un’immersione nel colore e nella melodia. A differenza di GAS, qui il protagonista non è il basso ed il suo sviluppo come movimento sinfonico senza soluzione di continuità, ma piuttosto l’armonia. I due artisti, quasi invisibili per via delle proiezioni, tinteggiano coi soli laptop una colonna sonora onirica. L’andamento però è in stile concerto e lo stacco tra ogni brano spezza un pò il ritmo dello show.
Nel complesso si tratta di un esperimento interessante, esempio di come si sta trasformando il suono di Colonia.

Neanche il tempo di mangiare che al Berghain comincia il secondo tempo. Tuttavia incredibilmente la festa è andata sold out pur non presentando nessun nome di altissimo richiamo, e a me (che come tanti avevo pensato: “ma a chi vuoi che interessi oltre a noi Holy Other e Kuedo…”) tocca restare fuori. D’oh!!
Il mio socio mi racconterà ottime cose appunto degli artisti su citati, mentre per quanto riguarda oOoOO e Balam ACAB pare che sotto la fitta coltre di hype ci sia pochissimo arrosto.
Ringraziando un clima che non conosce umidità e ci permette di mettere il naso fuori dalla porta senza ibernare, passiamo il venerdì tra la Hamburger Bahnhof per la mostra/installazione di Rioji Ikeda, db, basata su parallelismi concettuali e percettivi, e negozi di dischi, visto che oggi come oggi sono rari persino qui.
A questo punto, a ridosso del weekend, vale la pena spendere due parole su come in effetti Berlino stia vivendo una fase di stanca dovuta alla prolungata esposizione ai riflettori della ribalta internazionale: durante l’intera settimana, ad eccezione degli eventi propri del festival e della Klubnacht del Berghain, non c’è stato nessun altro motivo d’interesse, se non giusto le 5 ore di Funk D’Void, al Kater Holzig, il redivivo Bar25, purtroppo di domenica, o un’oretta di Mathew Jonson al Watergate.
In compenso chiudono definitivamente i battenti il Tape e, dopo ben 15 anni, l’Icon.
Per questa sera il biglietto ce l’ho sotto il cuscino da un mese e alle 20.30 sono già pronto a godermi la messa cantata col Funktion One.
Inutile cercare di parlarne male appigliandosi alla sua oltremodo odiosa (e sempre meno infallibile) door policy, il Berghain ha un fascino inarrivabile, è il luogo in cui l’audiofilia diventa piacere sessuale, ed ogni party ha le caratteristiche di un festival.
ll set di Opium Hum ci introduce al Ben Frost Trio. Questa è la musica che si ascolterebbe se i Distructors organizzassero un rave!! Electronic with no limits recitava lo slogan della F Com. Il gruppo si compone di batteria, violoncello e computer, tutti al servizio di una diga sonora incessante. Applausi a scena aperta!!
Chi invece non convince è Mika Vainio che appare spento e narcotizzante(-to), in sostanza noioso.
A svegliarci dal coma è Morphosis con un live dal sapore roots techno ed electro.
Quando tocca a Roly Porter, la metà dark ed industriale dei Vex’d, l’atmosfera è satura di tensione. Le immagini proiettate rimandano alla selva dantesca, a Sleepy Hollow, a The Blair Witch Project. A darci la sensazione di essere inseguiti da un’entità malvagia ci pensa il surround 6.2 del club: un nitido incubo ad occhi aperti, così desolante da restarne affascinati.
Alle 3 si possono muovere i primi passi di danza con G.H., copratonista dei Claro Intelecto, anche lui in versione live. Come per i Mohn c’è il problema di una performance troppo legata all’album e per questo troppo discontinua.
Gran finale col djset di Ancient Methods: Michael Wollenhaupt disintegra il dancefloor con vinili techno industrial futuristi e visionari. Il sound della Motor City è tornato sul trono, mentre l’house minimalista della Perlon pompata dalle casse del Panorama con Zip e Baby Ford ai comandi testimonia la stagnanza di un genere a corto di fantasia e motivazioni.
Il vero grande, imperdibile, evento della CTM 2012, ragione principale del nostro viaggio, è sabato all’House der Kulturen der Welt: il Joshua Light Show musicato da Manuel Gottsching!!
Il celebre spettacolo di proiezioni create a mano (!!!) che ha fatto da sfondo ai concerti di leggende quali Doors e Greatful Dead tra gli anni ‘60 e ‘70, viene proposto con l’inedita collaborazione di uno dei padri della scena elettronica. Già chitarrista nei corrieri cosmici tedeschi Ash Ra Tempel, con il suo album solista E2-E4 (1984, ma registrato nel 1981) fornisce involontariamente la base per uno dei più grandi anthem house di sempre: Sueno Latino.
Circondato da synth d’annata e computer fin dalle prime note è evidente che lo smalto non si è intaccato, ma è quando imbraccia la chitarra che scatta la magia. Immagini e musica sono gli ingredienti questo incantesimo lisergico. Arte e poesia, la Transmediale ha smesso d’inseguire le mode e torna a volare a quote altissime. Peccato solo per qualche sovrapposizione che non ci consente di assistere al live di Tim Hecker.

E’ ancora presto per andare a letto e al richiamo di Friedrichain non si può proprio dire di no. Nd_baumecker ci attende al piano di sopra per un elegante set nu house, e non male nemmeno il livestep di Hyetal. Di sotto Reinhard Voigt da ripetizioni di shuffle beat. Blawan alle cinque passate mi da la buona notte.
La domenica scorre oziosa in attesa del concerto finale alla Passionkirche, che per l’occasione ospiterà lo showcase dei 30 anni della Touch Records: 4 ore di avanguardia per organo, pianoforte, cello e tapes. Artisti del calibro di Marcus Davidson, Charles Matthews e Hildur Gudnadottir si alterneranno in uno spettacolo all’insegna della raffinatezza, interpretando sia proprie composizioni che di grandi autori sperimentali contemporanei.
Come al solito a Berlino il tempo scivola veloce dando l’impressione di aver lasciato in sospeso ancora un sacco di cose da fare, vedere, sentire, ma l’unico obbligo davvero inderogabile è il check in all’aeroporto.
Tirando le somme è stata davvero un’ottima edizione per la Transmediale, che si è dimostrata capace di riprendersi dalla clamorosa sbandata del 2011 per tornare ad offrire un prodotto di qualità, in grado di sopravvivere a qualsiasi trend, club o afterhour.

Federico Spadavecchia

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