Ben Sims “Smoke & Mirrors” (Drumcode)

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Ben Sims, il Signore dei Loops, una delle colonne portanti della Techno in Europa, è da annoverare tra i padri fondatori della corrente Hardgroove che scosse il nostro basso ventre all’inizio del nuovo millennio. Singoli come Manipulated e Live young die fast sono storia, così come le molteplici collaborazioni con i Dj’s e labels più importanti della scena che lo hanno portato a stringere una fortissima amicizia con un altro pilastro della cassa in quattro: Adam Beyer.
Tra i tanti meriti dell’artista svedese vi è l’aver dato vita alla Drumcode, label che in oltre dieci anni di attività ha sempre offerto ai clubbers un prodotto attuale. Certo i tempi in cui si godeva forte parlando di scuola svedese e del suo sfornare capolavori in serie sono ormai andati distrutti da quel blob fagocitante che è la minimal, stessa sorte che è toccata alla sorella/rivale napoletana di Carola e Parisio, ma oggi la rinascita della Techno è sotto gli occhi di tutti e sarebbe un bel momento per tornare ai fasti passati.
E allora in perfetto Zeitgeist ecco arrivare alle stampe l’album di Ben Sims, un disco particolare ancora prima di essere messo alla prova perchè si tratta dell’esordio su lunga distanza del Dj inglese, che in anni di onorata carriera non si era mai cimentato con questo formato.
Smoke & Mirrors esprime al 100% il Sims pensiero, nessun pericolo di brutte sorprese modaiole anche se i 140 bpm non si toccano più. D’altronde con una traccia d’apertura chiamata Riots in London non c’è molto spazio per l’immaginazione: la cassa parte dritta come un’autostrada e le macchine che ci corrono sopra si confondono tra percussioni sincopate, ballerini sudati e i riflessi del giradischi. Mete del viaggio: Detroit, Chicago, New York, Londra e Berlino.
Trasformare la rabbia in energia per continuare a muoversi nel buio, cercando l’illuminazione mistica in una strobo. Proseguendo con l’ascolto appare sempre più chiaro l’intento di Ben di voler riavvolgere il nastro del tempo per ripristinare non tanto un genere musicale (chi siamo noi per porci contro evoluzione e gusti?), quanto piuttosto quell’attitudine a considerare la Musica una cosa seria e non un artifizio per sentirsi fighi (la copertina disegnata da Alan Oldham è Stile!).
Altro titolo rivelatore: Can you feel it?, ne vogliam parlare ora che chissà per quale miracolo il grande pubblico ha scoperto il meraviglioso mondo della Chicago House? Soprattutto se nella successiva I Wanna Go Back alla voce c’è sua maestà Blake Baxter ad incitare il dancefloor ad immolarsi nel nome del groove e del funk, spiegando che loop non vuol dire necessariamente piattume!!!!
Bullet è il punto di non ritorno: non farti domande e balla come se non ci fosse domani!
The afterparty, invece, è il giusto consiglio per sopravvivere alla luce del sole già alto: melodie ipnotiche e un ritmo costante senza cali di tensione.
La titletrack poi è semplicemente devastante: il suono viene liquefatto nel dub per liberare i fantasmi delle console passate, che subito infestano la pista scuotendo le loro catene.
Il sambodromo di The calling ci porta a I Feel it Deep, con il featuring di Tyree Cooper, atterraggio morbido di questo lungo ed entusiasmante volo.

Federico Spadavecchia

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