Ricordo quando negli anni ‘90 sfogliavo le paginette di Discoid (l’allora Bibbia della Club Culture italiana) e rimanevo impressionato dalla quantità di artisti che si riunivano per le coventions in Italia (il fu SIB a Rimini) e all’estero per eventi come il WMC di Miami, il Midem di Cannes e l’Amsterdam Dance Event. Per quasi una settimana si sarebbe parlato solo di musica!!!
Vuoi per una line up da sogno, vuoi per l’attrazione che la capitale olandese ha sempre esercitato sui giovani di tutto il mondo, vuoi anche per la relativa vicinanza e lo sviluppo dei voli low cost ma io, prima o poi, all’ADE dovevo andare per forza; mai però avrei immaginato di farne addirittura un appuntamento fisso sul mio calendario!!!
Stampiamo l’ennesimo ticket Easyjet e via in viaggio insieme al Raibaz per il mio ADE numero 4!!
Come per le edizioni precedenti si è programmato di andare da giovedì a domenica mattina, tagliando quindi inaugurazione e chiusura, per dedicarci anima e corpo ai giorni centrali dell’evento ricchissimi di attività diurne e notturne. Peccato soltanto per i costi proibitivi degli abbonamenti che non ci hanno consentito di assistere alle conferenze che erano davvero di alto livello.
Quello di Amsterdam è l’ultimo happening rimasto in ambito dance ad essere ancora un’importantissima piattaforma business, pensata in primo luogo per gli addetti ai lavori (ai quali sono riservate quasi tutte le attività by day). Inoltre va sottolineato come tutte le venues della città siano coinvolte nel progetto indi percui non esiste un ADE off per turisti.
A noi comuni mortali non resta che consolarci con serate di clubbing furioso, sperando di aver azzeccato anche stavolta le feste migliori.
La prima notte è una scommessa vinta in partenza: Laurent Garnier al Paradiso con il suo L.B.S. insieme ai fidi Scan X e Benjamin Rippert, servono commenti?
L’ex teatro di Leidesplein è già di per sè una cornice magnifica con un’organizzazione perfetta come vuole la tradizione del Paese coi mulini a vento popolato da un bellissimo e iper amichevole pubblico, ma quando sai che ospiterà ben 4 ore dell’Artista elettronico numero uno, beh, c’è solo da scegliere la poltrona più comoda e godersi lo spettacolo!!!
Sorpresa del party è il Dj in apertura, Nuno Dos Santos, dalle nostre parti conosciuto soprattutto come producer per label come Compost Black insieme al suo socio TJ Kong, mentre a ‘Dam è famoso per essere il resident di un altro club straordinario: il Trouw.
La sua performance è il giusto warm up al Maestro d’Oltralpe: techno bella battuta con strings in crescendo in linea con le ultime uscite discografiche di Monsieur F.Com.
Nel frattempo abbiamo raggiunto le balconate, l’ideale per godere appieno dell’esperienza L.B.S.. Da qua su, infatti, possiamo ammirare la costruzione dello show che si apre come un dj set per poi evolversi in un live in cui Laurent diventa direttore d’orchestra.
I finestroni da chiesa alle sue spalle gli conferiscono un senso di sacralità tale che pare quasi di assistere ad una messa del Papa a San Pietro.
Inni celestiali come The Man with the Red Face e Gnanmankoudji ci portan quasi alle lacrime.
Garnier, spinto dall’esigenza di fondere le sue diverse esperienze e di trovare la quadra dei differenti modelli performativi già sperimentati in passato, ha portato il concetto di djset su un nuovo, inarrivabile, piano: quando non trova il disco che vuol suonare nella sua borsa, lo compone direttamente live con tanto di musicisti!
Il problema d’aver assistito ad uno show così bello ed emozionante già il primo giorno è che inevitabilmente tutto quello che viene dopo sembrerà una delusione.
Il venerdì, trascorso il pomeriggio ad alimentare il mercato del disco tra Rush Hour e Concerto, ci rechiamo al Melkweg per il Dave Clarke & friends.
Che fregatura!!!
Già perchè mentre il Simone KK viene coccolato da Joey Negro e Kenny Dope con a sorpresa il featuring della divina Barbara Tucker, a noi tocca la cattiveria gratuita e inutile di Len Faki, un Daniel Miller (sì proprio lui il sommo boss della Mute rec.) che anzichè raccontare antiche e oscure storie industrial suona techno come l’ultimo dei ragazzetti in gita a Berlino, un Dave Clarke spento nell’inventiva (quando si dice digitale vs analogico: forse il nostro caro Dave non ha calcolato che sì il laptop permette un mucchio di cose e da tanta praticità in più, ma per un Dj come lui, bello anche da vedere impegnato in tricks da turntableism, è assolutamente penalizzante e lo spettacolo ne esce zoppo).
Fortuna vuole però che in programma ci siano due gentlemen come Andrew Weatherall, che dopo Miller raddrizza il timone su lidi acid e viaggiosi, e Derrick May che da bravo padre fondatore si china sui piatti e imapartisce una lezione da manuale su come si possa picchiare mantenendo inalterata la classe e la purezza.
Per sabato, invece, l’appuntamento è al Trouw per l’ultima grande celebrazione dei dieci anni di Resident Advisor.
Rimango abbastanza stupito di trovare a fare l’apertura in main room Agoria, solitamente collocato in peak time, e questo mi fa andare in brodo di giuggiole pensando a quale incredibile nome possa essere l’ospite a sorpresa annunciato dal popolare sito web.
Quanto al set di Sebastien nulla da eccepire anzi: tre piatti per lui e tanta raffinatezza dosando l’energia come un esperto farmacista.
Al piano inferiore intanto reincontriamo Nuno Dos Santos stavolta assieme a Patrice Baumel in scena come 360 Soundsystem. Pollice su anche per loro.
All’una il cambio di consolle e in cattedra sale il nostro vecchio amico Robag Wruhme che non vedavamo dai tempi dei Wighnomy bros.
Purtroppo da qui in avanti ci aspetta una serie di bocconi amari: da solo Gabor, comunque molto bravo, manca di quella magica allegria e fantasia che hanno reso leggendari i suoi djset con Monkey Maffia. A sto giro niente bottiglie di vodka, sorrisoni e vinile solo tanto mestiere.
La situazione precipita (e l’incazzatura decolla) quando l’Ing. Raibaz mi avverte via sms che l’ospite d’onore sarebbe Sasha, The Son of God, e così, quanto mai fomentato, corro come un pazzo davanti alla consolle principale.
Peccato che una volta lì di Sasha manco l’ombra, e che al suo posto ci siano due sconosciuti, più tardi identificati come Craig Richards e Lee Burridge riunitisi dopo anni per il progetto Tyrant.
Meglio sorvolare sul fatto che RA aveva sbandierato ai quattro venti l’intenzione di voler portare sul palco i nomi che hanno segnato la scena elettronica degli ultimi dieci anni!!! Diciamo che la X la usiamo per metterci una croce sopra…
In ogni caso il set dei Tyrant è quanto mai inconsistente perciò me ne torno al piano terra per Donato Dozzy.
Sarà stata la maledizione della serata ma anche il talento di casa nostra non va oltre una techno scarna e monotona priva di quei momenti trancey che l’hanno portato al successo staccandosi troppo dal set di Wruhme.
Non facciamo in tempo a dispiacerci che è già l’ora di correre in aeroporto.
Tirando le somme non è stato un anno da fuochi d’artificio per l’ADE che ha rinunciato alla componente avanguardista (niente concerti al Bimhuis) e ad eventi unici (la festa prog house dello scorso anno al Pureliner o la sontuosa inaugurazione con D25) in favore di un maggior numero di locations. Anche nella disposizione di queste ultime è stato fatto qualche errore, per esempio mettendo troppo lontani dal centro gli studios della Red Bull Music Academy Radio e limitando l’accesso ai pre serata tenuti da J.C. Rags e Smirnoff ai soli accreditati e a qualche fortunato che ha rimediato un invito su Facebook. Infine l’aumento dell’IVA sulle attività culturali ha comportato un sostazioso aumento del prezzo dei biglietti.
Va comunque detto che, vista l’ambizione e la longevità del progetto, e considerato anche il periodo di crisi internazionale, l’ADE con i suoi oltre 25.000 partecipanti ha portato a casa un altro successo.
Speriamo solo l’anno prossimo di essere più fortunati!
Federico Spadavecchia