E’ incredibile come Carsten Nicolai, meglio conosciuto come Alva Noto, sia passato dallo status di artista concettuale e ricercatore sonoro quasi al grado di pop star, con migliaia di fans pronti a seguirlo ovunque dai teatri ai rave. La questione diventa ancora più straordinaria se consideriamo il fatto che tutta questa ondata di celebrità si sia sviluppata indipendentemente dalla volontà di Carsten.
Già perchè lo sperimentatore tedesco è sempre andato dritto per la sua strada seguendo unicamente le proprie idee che, soltanto negli ultimi due anni, lo hanno portato a pubblicare un qualcosa come quattro album (di cui tre con altrettante diverse collaborazioni) esplorando, forse come mai nessun altro, l’universo minimale.
L’errore pop deriva dall’equivoco minimal/minimalism provocato da Richie Hawtin e dalla sua macchina da soldi M_nus, che hanno avvicinato la massa al Raster sound (il celebre mix DE9 (2005) di Hawtin che segnò l’esplosione del fenomeno era strapieno di samples targati Raster e Pan Sonic). Certo quando la faccenda si fa intellettuale (ed ambientale) il popolo fugge e fischia (lasciando campo ai veri appassionati), ma davanti agli scintillanti e granitici beats degli oscillatori di Byetone, Signal e dello stesso Alva Noto si scatena l’inferno (ricordate Dissonanze 2009?).
Prova di ciò è lo scarso successo del progetto Container, guarda caso col biondino di Winsdor, e la straripante richiesta di Dj set del solo Carsten (dal Bloc Weekend al Club To Club), il quale sembra diveritirsi parecchio in questa veste più dance (vedi il podcast per Resident Advisor).
Per quel che concerne Univrs si tratta del proseguio del concept di Unitxt con un maggior focus sullo studio di un linguaggio universale e delle sue varie declinazioni.
Le 14 tracce del disco, risultato di differenti metodi di audio analisi, prendono le mosse da un contesto live, dando vita ad un movimento denso e continuo in cui la fisicità la fa da padrona.
Per quanto riguarda inceve l’aspetto visivo (immancabile trattandosi di un’opera di Nicolai) abbiamo una manipolazione in tempo reale d’immagini generate da impulsi audio e contemporaneamente processate attraverso una macchina creata ad hoc per proiettare una successione di patterns di colori senza ripetizioni.
Oltre ai dettagli strettamente ingegneristico/nerdistici c’è spazio anche per un paio di curiosità: la prima riguarda uni acronym in cui la modella Anne James Chaton recita una serie di ben 208 acronimi (messi in ordine alfabetico) composti dalla combinazione di tre lettere, e quindi uni rec contenente un sample firmato Martin L. Gore.
Per concludere siamo di fronte all’ennesima dimostrazione della bravura di Carsten Nicolai anche se, com’era già successo agli ultimi Pan Sonic e al suo, lungo, sodalizio con Sakamoto, la formula inizia ad essere fin troppo nota; il linguaggio è diventato ormai universale e a farne le spese è l’entusiasmo dei fans che ne esce un pò smorzato.
Federico Spadavecchia