Usare il passato per progettare il futuro rendendo così migliore il presente non è proprio quello che si può definire una passeggiata, specie quando ci si trova non in una grande capitale europea ma in Umbria, terra ricca di storia e tradizione certo, ma non proprio in cima ai nostri pensieri quando si tratta di tracciare un percorso sulla mappa del clubbing internazionale. Tuttavia da ormai qualche anno le cose stanno cambiando grazie all’intraprendenza dell’Associazione Culturale Dancity che, attraverso il suo omonimo festival (di cui siamo orgogliosamente media partner), ha costretto la scena elettronica continentale a disertare per un weekend Londra e Berlino per rifugiarsi nel centro storico di Foligno.
L’obiettivo della Dancity Crew è infondere nel pubblico la voglia di ampliare le proprie conoscenze stimolando la curiosità verso forme d’arte non convenzionali proponendo live, dj set, mostre, performance ed installazioni. Insieme a Club To Club di Torino e al, purtroppo fù, Dissonanze romano, il Dancity è uno dei rari casi in cui in una manifestazione a carattere dance oriented si riesce a far quadrare l’equazione cultura uguale divertimento, senza per questo chiudersi nella ristretta cerchia degli iperappassionati, anzi riuscendo a conquistare nuovi ed entusiasti partecipanti ad ogni edizione.
Quest’anno il programma era già molto invitante fin dall’anteprima che ha visto protagonisti Alva Noto e Sakamoto al Teatro Moriacchi di Perugia, ma purtroppo non avendo ancora il teletrasporto di serie ci siamo dovuti accontentare, si fa per dire, della sola giornata di sabato.
Nonostante la levataccia, 200 km di treno e altri 480 di auto, arriviamo puntuali all’auditorium Santa Cristina per la vera novità di quest’anno vale a dire le esibizioni pomeridiane.
A piedi nudi dietro una tavola imbandita di ogni ben di Dio di sintetizzatori c’è Furtherset, al secolo Tommaso Pandolfi, promettente talento locale di appena 16 anni che ben interpreta il mood piovoso della giornata con drones saturi e nebbiosi. Nell’insieme il suo progetto si dimostra solido e all’altezza di una platea così prestigiosa, anche se talvolta appaiono delle disomogeneità dovute ad un set up molto ambizioso. Diamogli il tempo di fare esperienza che ci darà belle soddisfazioni.
Dopo l’allievo è il turno del Maestro, di quel Giuseppe Ielasi che tutto il mondo ci invidia per la sua abilità compositiva e di sperimentazione. Per lui giusto un laptop ed un altro paio di attrezzature per riempire la sala di un sound denso e oscuro nato dalle corde di una chitarra e completamente processato. La propagazione del suono nello spazio ricorda gli studi di Monolake sui temporali. Applausi a scena aperta!!
E’ il turno quindi del salentino Populus (aka Andrea Mangia) proporre uno degli show più particolari del festival: sulla musica sintetica del Dj un gruppo di arzille signore e relativi compagni si esibiscono in balli di gruppo. Un pò come nella scena finale della Guerra degli Antò ma con tutta la simpatia e l’ironia del clip di Praise you di Fatboyslim.
Si torna seri con Stian Westerhus e la sua chitarra: d’improvviso cala l’inverno e la civiltà pare ormai destinata definitivamente alla rovina.
Il premio di best show del pomeriggio spetta però al giapponese Ei Wada altrimenti detto Braun Tube Jazz Band.
Stanchi della solita televisione? benissimo, trasformatela anche voi in un Theremin e registrate su cassetta le vostre forme d’onda preferite. Dalla classica alla techno non avrete di che annoiarvi!!!
Ci godiamo il tramonto con Luminodisco ai piatti ma, mentre nei suoi ci sono solo i dietetici vinili codificati di Traktor, nei nostri c’è dell’ottimo salmone affumicato gentilmente offerto dall’Ambasciata Norvegese, tra i patrocinanti l’evento.
La parte by night è tutta al grande auditorium San Domenico.
Iniziamo con Zan Lyons che offre il suo punto di vista sonoro su un classico del cinema di fantascienza come Blade Runner.
Nel cortile, invece, troviamo Space Dimension Controller che a differenza di quando l’abbiamo incontrato al Bang Face propone il suo live.
Lui si autodefinisce galactic funk ed in effetti questa definizione ben si addice al suo occupare lo spazio che c’è tra la disco e l’acid house con melodie raffinate ma catchy, ritmi morbidi anche quando sono serrati e una presa mentale devastante. L’old school non è mai stata così moderna.
E mentre Scuba comincia il suo Techno act nelle vesti di SCB, dimostrando che l’influenza berlinese sta diventando un’overdose di rigore in 4/4, e che sarebbe meglio allora trascorrere più tempo in Inghilterra a rivitalizzare la creatività, noi rientriamo per assistere finalmente alla performance del misteriosissimo Arandel, protetto di Agoria, ed autore di uno degli album più belli di tutto il 2010: In D.
Nessuno sa chi si celi davvero sotto questo moniker anche perchè Arandel si è visto live soltanto altre due volte: la settimana scorsa al Sonar (ma qualcuno l’ha visto???) e alle Nuits Sonores di Lione.
A Foligno, per la prima volta, ci sarà l’accompagnamento dell’orchestra, la Dancity Ensamble, composta da due ottoni, quartetto d’archi e pianoforte.
Il primo arcano ad essere svelato (accontatevi delle parole per ora perchè le foto sono state vietate espressamente) è che non si tratta di Arandel ma degli Arandel!! I produttori sono infatti due e, dopo pochi minuti di rodaggio, danno il via a quello che può già pretendere il titolo di live act dell’anno!!
I due francesi non stanno fermi un secondo controllando i beats dai loro laptop e suonando live sax, xilophono, flauto, flauto dolce e hit hat. Lo show è un crescendo di emozioni e colori, il pubblico è letteralmente in delirio. Sull’ultimo pezzo l’auditorium s’infiamma e nel fuoco si può vedere nitido il volto di Laurent Garnier!!!
A questo punto la voglia di ballare non si può più contenere e quindi mettiamo in circolo l’adrenalina sotto il controllo del duo made in Rush Hour rec. Kink & Neville Watson.
Il loro live con le macchine è un tempio all’acid house di Chicago: su piccoli samples di inni old school costruiscono originali architetture sonore, innovative ma devote, insomma acid che non scimmiotta l’acid!
Il finale all’aperto è affidato a Dixon, patron della Innervisions, nonchè vero simbolo della corrente nuhouse che, al contrario di quello che vorrebbero farci credere i Dj rumeni e quelli di Mannheim, non si tratta di quattro loop in croce fatti con Ableton provando a scopiazzare il groove degli anni ‘90, bensì consiste nell’esaltazione della raffinatezza, della tecnica e dello studio, elementi, questi, ereditati dalla deep house, genere tutt’altro che incline a compiacere i capricci della massa.
Col dj berlinese si balla, si sogna con le mani al cielo e soprattutto si canta a squarciagola Kill 100 degli X-Press 2 in uno dei famosissimi e introvabili edits dello stesso Dixon. Non dimenticheremo mai quel giovane tamarro umbro che sotto la consolle gli urla: “Daje Dixon spacca tuttu lu munnu!!!”
La chiusura spetta però al live di Felix Kubin nell’auditorium che per l’occasione è diventato un grande dancefloor con il pubblico chiamato a ballare spalla a spalla con l’artista tedesco.
Il suo geniale synth pop dada-socialista non da scampo con un umorismo affilato come un rasoio e un ritmo inarrestabile. L’enfant prodige, che a 8 anni già suonava i Kraftwerk, ha conquistato tutti anche quelli che non lo conoscevano, e la folla non vuole più lasciarlo andar via!!!
Su queste gioiose immagini termina il Dancity con la soddisfazione di essere riuscito nel suo proposito: aver consegnato alla storia un’edizione memorabile solida base per il futuro.
Federico Spadavecchia