Moritz Von Oswald Trio “Horizontal Structures” (Honest Jon’s)

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Al tramonto sono le sfumature a prendere il controllo, i colori si fanno tenui e l’aria appena frizzante. Il rito di transizione più antico si sta per compiere come ogni giorno dall’inizio del mondo.
Il sole coi suoi ultimi raggi allunga le ombre di tre uomini che da sempre han fatto delle zone di confine il proprio parco giochi: Vladislav Delay, Max Loderbauer e Moritz Von Oswald.
Lo scorso anno ci avevano già conquistato con l’eccellente Vertical Ascent, un trionfo di minimalismo e dub cosmico, ma ora sono qui per esplorare la dimensione orizzontale della faccenda.
Quattro structures di 15/20 minuti ciascuna in cui le frequenze si dilatano in un jazz psichedelico mostrando il volto spirituale e noir della Basic Channel.
Quante tonalità si frappongono tra il giorno e la notte?
Al crepuscolo l’anima abbandona il corpo e puntando verso il sole si dissolve in quei colori indefiniti e nella perfezione acustica.
Il viaggio incomincia col basso profondo e funk della prima struttura, un’inquadratura su un una città ormai deserta in cui qualcosa di tragico sta per accadere.
Come in tutte le produzioni di Moritz la tecnica è impeccabile, un mosaico di suoni finemente levigati al servizio della tensione emotiva.
Nello schema aristotelico di percussioni e riverberi sono le chitarre l’ultimo appiglio all’essere umano ed ai suoi sentimenti, anche quando la ritmica si fa meccanicamente mauriziana (structure 2) è il calore a prevalere, un leggero torpore dei sensi.
Smooth funky (con qualche richiamo alle colonne sonore anni ‘70) e dub ambient riflettono luci ed ombre. Nell’oscurità della structure 3, in cui il beat torna assoluto protagonista, quando il passo si fa più deciso scompare l’illusione di trovarsi davanti ad un disco lento.
Realtà, finzione, vita e morte sono solo parole e come tali possono essere manipolate.
La structure 4 chiude il cerchio, scena finale di un thriller vintage futurista: venti minuti di percussioni, suggestioni orientali ed echi infiniti per un buco nero della mente degno del miglior Lynch.

Federico Spadavecchia

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