Ad un orecchio profano Cyclo potrebbe suonare come il test che si fa dall’otorino per misurare la capacità del nostro udito, ma in realtà si tratta di una delle più celebri collaborazioni tra due pesi massimi della sperimentazione musicale: Carsten Nicolai, altrimenti detto Alva Noto, e Ryoji Ikeda.
E’ facilmente intuibile che il disco in questione non abbia nulla a che vedere con il concetto comune di “musica”, niente strofe, ritornelli, riff e sentimenti quindi, ma solo uno straordinario database di audio imput studiati per riprodurre particolari effetti visivi se analizzati in tempo reale con il supporto di una macchina capace di disegnarne l’immagine stereo.
Ogni impulso è frutto di un processo certosino di manipolazione delle frequenze e di ricerca dell’elemento visivo più adatto.
Non si tratta più del semplice abbinamento musica ed immagini ma della creazione di entrambe da parte di un unico segnale.
Se il minimalismo come genere è già stato esplorato sotto ogni aspetto Cyclo ha il merito di rinnovare lo stimolo alla ricerca aggiungendo una nuova dimensione, quella visiva, per cui l’artista non dovrà più solo confrontarsi con il suono in sè ma dovrà anche prestare attenzione all’algoritmo video cui darà vita.
I beats conterranno, di consegeuenza, un elevato numero di informazioni ed il che si traduce nella presenza di un certa quantità di frequenze impercettibili all’orecchio umano ma ben visibili sugli schermi.
Allo scopo di mantenere inalterati questi dati la registrazione non è stata masterizzata come invece avviene per qualsiasi altro album.
Di fatti a sottolineare la particolarità del disco nelle note di compertina vi sono anche le istruzioni per l’uso casalingo: per un ascolto ottimale non comprimere in mp3.
Federico Spadavecchia