Brock Van Wey, classe 1974, viene da San Francisco ma attualmente vive in Cina a Shaoxing e dai primi anni ‘90 si esibisce ai piatti col nickname Bvdub sviluppando una forte passione verso le sonorità deep ed ambient.
Tuttavia è solo nel 2006 che Brock inizia a produrre dando forma alla propria visione musicale.
Tra il 2008 e il 2009 ecco arrivare la meritata fama con release su un paio delle migliori labels dub tech, Meanwhile ed Echospace, mentre nel 2010 sarà la Kompakt a richiedere la sua partecipazione per l’annuale compilation Pop Ambient.
Il 2010 è però anche il momento della definitiva consacrazione con l’uscita di un album straordinario, The Art of Dying Alone, che viene acclamato in tutto il mondo. Bvdub diviene uno dei personaggi chiave del post ambient e oggi rilascia un nuovo disco: Tribes at the Temple of Silence.
La direzione è quella già intrapresa all’esordio su lunga distanza con drones affogati nel dub più profondo alla ricerca della pace interiore.
Ma mentre i temi portanti di The Art of Dying Alone erano la malinconia e la dimensione spirituale, in questo nuovo disco l’artista americano appare più attento alla vita tangibile e sostanzialmente più sereno.
Le placide melodie vengono mosse da ritmi nervosi ma mai invasivi, e la voce umana si mescola al lamento dei drones. Cos’altro è il mondo di oggi se non un inbrido cyborg?
In una futuristica Stonehenge si radunano le moderne tribù in collegamento telepatico attivato con gli auricolari. Circondati dal traffico umano la musica ci permette di isolarci in una solitudine autistica ma allo stesso tempo di entrare in risonanza con chi si muove sulle nostre stesse frequenze.
Il concetto di musica per ambienti è ormai superato come qualsiasi altra definizione di genere, e l’abilità del producer si misura nella sua capacità di andare oltre elaborando nuove alchimie di crossover.
Bvdubfiltra l’ambient attraverso la deep house e la dub tech per una produzione scintillante nei suoni ma non asettica anzi emotivamente tesa, capace di raccontare una storia e di sviluppare una propria vita nell’ambiente urbano come l’aria fresca che ti colpisce in faccia alla mattina all’uscita da un club.
Federico Spadavecchia