Sono passati 5 anni dall’uscita di Degenerate, uno dei primi album dubstep di successo, che contribuì ad imporre definitivamente la scena degli ultra bassi a livello internazionale.
Oggi quel dubstep è un lontano ricordo perso nelle sue mille mutazioni genetiche così come Jamie e Roly da molto tempo non incrociano più le loro strade.
Cloud Seed è quindi un album postumo, un requiem fatto di tracce realizzate tra il 2006 e il 2007, pubblicato di forza dalla Planet Mu ma col fermo rifiuto da parte dei due producers di toccare alcunchè in quanto impossibile intervenire sullo stato d’animo di quel periodo.
Allo stesso tempo però questa release è una risposta alle tante domande dei fans circa i singoli ed i remix post Degenerate, ed è sorprendente come le sonorità risultino comunque fresche, non legate al passato.
Con il poster gigante di Kevin Martin appeso al muro, il tema portante resta Blade Runner (la straziante fuga crepuscolare di Remains of the day) e gli scenari da day after guerre atomiche, dove le cheerleader si esibiscono sullo sfondo di una scuola ancora in fiamme (Take time out col featuring di Warrior Queen, la vocalist preferita, neanche a chiederselo, di The Bug).
La nebbia tossica non ha però oscurato del tutto gli esseri umani ed i loro sentimenti, che riescono comunque a conservare dolcezza e tentare slanci verso il futuro (Heart space interpretata da una soulfull Anneka). Se il fascino per il buio del duo è dovuto all’influenza di Kevin Martin, i lampi di luce sono diretta responsabilità di quell’Untrue firmato Burial.
Tra i remix presenti spiccano quello ai Plaid, Bar Kimura restrutturato in una casa degli spiriti completa di catene cigolanti, e a Fallen di Distance che viene asciugata e resa ancora più spigolosa.
Il muro di suono eretto dai Vex’d è invalicabile e, quella che appare come una crepa di silenzio da usare come appiglio per tentare la scalata, è in realtà una trappola ancora più dolorosa.
Peccato che Jamie e Roly non lavorino più insieme, ora non sapremo mai come andrà a finire questo film.
Federico Spadavecchia