Fa un certo effetto pensare che siano già passati praticamente 20 anni da quando Richard D. James, mefistofelico Aphex Twin, lasciò la natia Warp per fondare insieme a Grant Wilson Claridge la sua label personale, la Rephlex recordings.
In quel periodo, 1991, in Inghilterra stava prendendo forma la scena hardcore (al famoso motto di hardcore, you know the score) che avrebbe poi lottato a lungo col Belgio per il predominio sul Rave. I suoni alieni della Roland Tb 303, eredità della prima generazione acid house, erano le spade impugnate dai cavalieri di San Giorgio, e si parlava di Northern Bleep and Bass con riferimento alle produzioni di case discografiche come Warp e Unique 3.
Ma mentre appena un anno dopo l’etichetta di Sheffield bandiva ritmiche spezzate e melodie anthemiche in favore di un bene più grande definito elettronica da ascolto (ricordate la serie di album Artificial Intelligence?), per cui la musica doveva poter essere fruita anche rimanendo comodi sulla propria poltrona preferita piuttosto che sudando al buio di un magazzino abbandonato, Aphex battezzò una nuova via a quella forma post rave che spocchiosamente si autocelebrava come IDM, Intelligent Dance Music.
La Rephlex avrebbe riunito sotto le sue insegne tutti gli artisti vogliosi di sperimentare senza alcun limite di provenienza (non solo nomi locali ma da tutto il globo pagando il giusto tributo a leggende old school di Detroit come Drexciya e Urban Tribe, e coinvolgendo miti nostrani del calibro di Lory D, Leo Annibaldi, D’Arcangelo e Bochum Welt) o di intento (pista o ascolto casalingo, cassa in 4 o breakbeats ecc…).
Insieme ad una rielaborazione dell’acid, spesso frainteso dalle masse, Aphex affermava il concetto di Braindance, il genere che ingloba in sè il meglio di tutti gli stili.
Per rendere omaggio a tutto questo sabato scorso eravamo a Londra, zona Elephant and Castle a pochi passi dal lussuoso Ministry of Sound, in uno scantinato conosciuto come Corsica Studios, il miglior locale underground della capitale.
A livello di struttura più che un club ricorda un centro sociale: niente arredi se non un paio di divani, niente intonaco sui muri e luci colorate ma solo due stanze allestite con il solito potentissimo Funktion One. Qui la la Musica viene prima di ogni altra cosa!!!
Come da tradizione britannica la festa apre già alle 22 e appena un’ora più tardi si parte col primo live (questa infatti sarà la forma di tutte le performance) che vede ai comandi di macchine e computer Aleksi Perälä altrimenti detto Astrobotnia.
Diventato famoso per le sue melodie mental/ambientali qui decide di dare brio ai ballerini con un’intricata soluzione di beats che ricordano la sua collaborazione con Cylob (l’album Cylobotnia del 2003).
L’atmosfera è davvero incredibile, i Corsica sono già foderati, e sembra di essere tornati indietro nel tempo quando non c’erano divismi e si andava a ballare per il semplice gusto di stare insieme.
Capita così di andare a prendere da bere durante lo show del buon Jodey Kendrick, partito morbido per poi salire a colpi breaks intrippati, e trovarsi vicino ad un sempre più cazzone Andy Jenkison vestito con un’improbabile camicia a scacchi anni ‘80 e la solita catenazza da rapper al collo.
La sua esibizione è sempre spettacolare! Due tavoli di attrezzature rigorosamente analogiche sono la portaerei su cui far decollare le rIffiche ‘ardkore acid dell’esaltante United Acid Emirates lp uscito a marzo su Planet Mu. Il live di Ceephax è un esempio perfetto di quanto sostenuto da Simon Reynolds sulle similitudini tra dance e rock e sulla fondamentale importanza dei riff, a livello sia ritmico che melodico, tanto bistrattati dalla critica.
Piccolo break a prendere aria in cortile e sul palco c’è Dmx Krew che rivedo per la terza volta quest’anno e con un set ancora diverso. A sto giro il nostro spazia tra new beat belga e le prime cose electro tech europee dando inaspettatamente più spazio al 4/4.
The Criminal Minds sono invece l’ossessione britannica per l’hip hop a la Beastie Boys e che come al solito non convince più di tanto. Come diceva quindi il mitico Dan Peterson quando commentava il wrestling (proprio nel ‘91 guarda caso…): “Pausa per noi!“.
Si riprendono le danze con Monolith, vero purista del genere IDM e forse per questo risulta un pò troppo statico e ordinario.
Ma ora è giunto il momento che ho atteso da due anni a questa parte, mi godrò finalmente dal vivo Bogdan Raczynski!!! Il suo è un live digitale che si apre addirittura con un cantato (tra le altre cose l’amico qui è stato il produttore di una tipetta come Bjork) e quindi si sviluppa in un’onda ipnotica che per quasi un’ora ci tiene sospesi, in trance, senza comprendere dove voglia arrivare davvero.
E proprio quando sento ormai le forze venirmi meno ecco che Bogdan svela il suo gioco e per poco non fa esplodere un intero quartiere eseguendo la commovente Untitled #8 dell’album Alright! (2007).
Come un fiume in piena che rompe gli argini prendiamo tutti a saltare cantando quelle melanconiche melodie breakcore fino ai meritatissimi applausi finali.
Tocca a Wisp il difficilissimo compito di chiudere la serata facendoci tornare sulla terra sani e salvi, e lui non si tira indietro. Il basso vibra così tanto che se ne può avvertire la consistenza, assomiglia al Maestrale che col suo soffio rende terso il cielo su cui le melodie scintillano cristalline suonando la più dolce delle ninna nanne.
Federico Spadavecchia