Mal(r)umore

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L’Italia è fuori dal giro che conta. Pallonaro o musicale non importa, siamo stati tagliati via come un ramo secco e quel che è peggio è che la sega elettrica nelle mani del boia-boscaiolo ce l’abbiamo messa noi stessi con scelte drammaticamente sbagliate!!!

Il campionato così come i clubs ed i Dj del Bel Paese hanno esaurito tutto il loro appeal, non sono più capaci di inventare gioco; e mentre vetusti mettitori di dischi si limitano a fare da babysitter a ragazzi di cui potrebbero essere i padri andando dietro a mode senza senso (spiegatemi perchè uno come Ralf anziché salire in cattedra e impartire lezioni di HOUSE MUSIC butta sul piatto l’ultimo Dettmann con cui non ha niente a che vedere), i mister/promoter, incapaci di riconoscere il vero talento, non sanno far altro che affidarsi alla stella straniera di turno oppure pompando discreti mestieranti come fossero gli eroi di quella che più che ad una rivoluzione rassomiglia ad una pubblicità.

Le conseguenze di ciò sono sotto gli occhi di tutti: i locali di fama sono dimezzati, gli ospiti internazionali considerano l’Italia alla stregua di un bancomat impazzito (siamo l’unica nazione a pagare parcelle triple), ed il pubblico straniero giustamente ci snobba perchè ormai sa bene che da noi c’è sempre la fregatura (anyone said Maximal?), danneggiando però anche situazioni di pregio come ad esempio Club to Club e Dissonanze (dai quali comunque mi piacerebbe sapere quanti clubbers foresti riescono ad attirare).

Come se non bastasse non abbiamo nemmeno una scena in cui riconoscerci, nè undreground nè mainstream, perchè certo non possiamo considerare tale il giro fidget che, al di là dell’apprezzarlo o meno (la seconda che ho detto: meno!!!), se non fosse esploso dapprima all’estero da noi non se lo sarebbe cagato nessuno. Siamo rimasti al tempo dei Comuni quando ognuno pensava per sé e per definizione odiava il borgo confinante, di collaborare per crescere insieme neanche a parlarne.

Proseguendo nel paragone col calcio anche l’Italia dei nottambuli ricicla i medesimi schemi e luoghi comuni: Cocoricò, Sonar, Ibiza, Goa, Fabric, la solita Berlino (di cui bellamente si ignora il resto), il Dj Clinic (su cui stendiamo un velo pietoso perchè infierire è crudele) e così via sono come Cannavaro & co. giganti che ormai vanno avanti per inerzia ma ai quali basta una bava di vento (o un’ordinanza sulla limitazione degli orari) per farli crollare come castelli di carte; alla fine anche in vacanza ricerchiamo la banalità come a casa, rinchiudendoci in un club/villaggio ben reclamizzato.

E intanto Germania e Inghilterra continuano la loro sfida secolare per il predominio in Europa, confrontandosi su più livelli coltivando nel sottobosco e rivendendo fuori prodotti stramaturi.
Dubstep e minimal techno erano partiti come generi di nicchia ed oggi sono sulla bocca di tutti, presenti in qualsiasi line up ma in patria già si pensa al futuro.

I rigorosi tedeschi hanno allargato la portata del sound di south London oltre i confini del post garage (paradossale il caso di Scuba che è dovuto andare a Berlino per affermarsi liberamente triangolando le proprie influenze dubstep, d’n’b e techno) trovando una nuova dimensione dub, mentre gli Inglesi, presi dal dibattito sull’hardcore continuum, sfoderano un sound scintillante che mescola Uk Funky, dubstep e 8 bit pronto per diventare la colonna sonora dei prossimi teenagers.

A noi altri non restano che gli avanzi: prima di tutto la loopy house bollita da Francoforte e dalla Romania (che motivo c’è di fare un pezzo basato principalmente su un sample house anni ‘90 ripetuto all’infinito? Perchè campionare Louie Vega quando puoi suonare l’originale che fa sempre e comunque la sua porca figura?), quindi l’ableton minimal stile M-nus per la quale c’erano un qualcosa come 12.000 ragazzi ad affollare il Palazzo dei Congressi di Roma in occasione dell’ultimo Dissonanze alla faccia del povero Moritz Von Oswald.

Infine per rispondere a coloro che (senza rendersi conto di star parlando di nomi, Villalobos e i suoi fratelli, in voga da almeno dieci anni!!!!) indicano nella scomparsa dell’underground la causa di tutti i mali moderni , vorrei riprendere una metafora cara all’indimenticabile Tony Wilson (il fondatore della Factory records scomparso nel 2007 n.d.r.): la musica Pop si muove come una doppia elica e nel momento in cui la prima compie un movimento discendente la seconda risale per poi ricadere a sua volta.

L’abilità degli adetti ai lavori sta nel passare da un trend all’altro quando le due onde si incrociano.

E’ chiaro però che non può trattarsi di un salto nel buio, ma ci si deve arrivare per gradi, magari costruendo una piccola situazione, perchè tanto velocemente l’underground diventa mainstream e conquista la top ten quanto nella sua fase calante è altrettanto rapido a portare con sé nell’abisso tutto ciò che lo circonda; vi ricordate della progressive? Non c’è rimasta nemmeno una lapide su cui lasciare i fiori!

Detto questo datemi un buon motivo per pensare che con l’housetta dei Vagabundos, dei Curly, degli Olandesi o dei Rumeni non debba accadere la stessa cosa, i presupposti ci son già tutti. Quando il nome di Luciano cominciò a circolare con una buona insistenza anche in Italia le sue performance erano circoscritte a pochi club d’avanguardia ed il suo seguito si aggirava attorno a qualche centinaio di persone. Adesso, sette anni dopo circa di scalata Pop, basta una foto di Lucien su un flyer in Times New Roman per riempire gli stadi e i dischi Cadenza si ascoltano pure al supermercato.

E’ la fine dell’underground? No, semplicemente lo si deve cercare in altri lidi e suoni, perchè lo svizzero/cileno è troppo impegnato ad accontentare le masse per trovare il tempo per far ricerca ed innovarsi; le sue produzioni attuali sono tools da pista funzionali al divertimento di una notte perfette per i migliaia di ragazzi in costume da bagno che nelle disco just wanna have fun.

Ora, dopo l’eliminazione dell’Inghilterra e con essa dell’ultimo riflesso italiano, aspetto solo qualcuno che lanci la Vuvuzelas house!

Federico Spadavecchia

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