Cobblestone Jazz “The Modern Deep Left Quartet” (K7!/Wagon Repair)

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Chi era presente al WMF Club di Berlino lo scorso febbraio sarà già con la bava alla bocca dopo aver letto il titolo del disco. Quella notte per oltre 7 ore siamo rimasti abbagliati dalla classe infinita di Mathew Jonson e compagni, quindi ora che il cd è finalmente disponibile nei negozi non vediamo l’ora di ripetere la magica esperienza nel nostro salotto.

Cominciamo col precisare che il titolo non è altro che il nome del progetto allargato dei Cobblestone Jazz che da trio passano, appunto, a quartetto con la partecipazione di quel The Mole, veterano della scena house canadese, che già da tempo si esibiva coi ragazzi della Wagon Repair.

L’album rispecchia fedelmente l’andamento della performance dal vivo (e forse perciò non ci sarebbe stato male un secondo cd mixato) dimostrandosi una preziosa miniatura di quel suono che oggi dovrebbe essere definito nu house.

In effetti non siamo davanti ad un’opera rivoluzionaria ma ad una fine lavorazione artigianale.

Al momento è finito, o quanto meno sospeso, il tempo delle intuizioni semplici ma geniali dei non musicisti, ed il ritorno alle sonorità di Chicago rischia seriamente di diventare un monotono copia/incolla di samples vecchi di 10 anni su basi ritmiche preparate con ableton tutte uguali.

Ben vengano allora produttori dalla cultura “classica” usciti dal conservatorio e capaci di affrontare a mente aperta le sfide alla tecnologia e all’esaurimento dei generi musicali.

The Modern Deep Left Quartet è esattamente questo: dance moderna riveduta e corretta da parte di musicisti preparati, che sanno miscelare con perizia mezzi analogici e digitali ricavandone un sound caldo e contemporaneamente moderno.

Facile ricondurre il loro approccio al futurista Hi Tech Jazz detroitiano dove stili e strumenti diversi si incontrano per dar vita ad un qualcosa di nuovo ma intimamente classico.

Il battito vellutato di Chance Dub in apertura è un sensuale movimento ipnotico che rimanda tanto a fumosi jazz club quanto a luminosi dancefloor anni ‘80. E il gioco dei doppi continua con il vocoder e le tastiere di Sun Child tra l’house e il charleston, tra il djset e la jam session.

La voce filtrta è il filo conduttore che ci porta alle oscure e technoidi Mr Polite e Cromagnon Man, per poi tornare all’aria aperta con Fiesta, tutta basso slappato e Roland Tb 303.

Children, invece, ha le potenziali dell’anthem: cassa dritta senza tregua ma non invasiva, melodia ossessivamente grave e cantato naturalmente in vocoder. Chance rallenta la corsa, lasciando il campo alle note malinconiche di un hammond e ai sogni dei ballerini.

Sotto il Midnight Sunsi consuma l’ultima danza, davanti ad un’indistinta alba che potrebbe essere in realtà un tramonto.

Federico Spadavecchia

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