Club Transmediale ’10

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La fortuna aiuta gli audaci è il motto che ogni Clubber degno di questo nome dovrebbe sempre far suo, già perchè andare a Berlino mentre è in corso uno degli inverni più freddi che si ricordino potrebbe sembrare una mossa un tantino avventata.

E dire che effettivamente il weekend inaugurale della Transmediale 2010, nota rassegna di arti audio-visive, era stato dominato dal gelo polare con vento e ghiaccio a rendere quasi impossibile ogni sorta di spostamento.

A distanza di una settimana, invece, giusto in concomitanza della nostra trasferta per il gran finale del festival, la temperatura si è alzata quanto basta per rendere piacevole (anche se un pò scivoloso) passeggiare nella città resa ancora più suggestiva dalla Sprea ancora parzialmente surgelata.

La Transmediale, anche quest’anno, raccoglie le migliori proposte in campo avanguardista con i progetti di artisti come ad esempio gli ex Pan Sonic e Rioji Ikeda, o il gran concerto di Charlemagne Palestine al Franzosischer Dom nel quartiere di Mitte.

Chiaramente in una programmazione di così alto livello anche le sonorità da club non sono da meno; e così eccoci a schettinare in una lunghissima coda all’entrata del WMF Club in Alexander platz (che da quest’anno sostistuisce il Maria am Ostbahnhof come location ufficiale) per dare il via al weekend a colpi di ultra bassi e grandiose melodie.

A darci il benvenuto al primo piano del locale c’è Scuba: ormai trasferitosi stabilmente nella capitale tedesca, il Dj inglese ha portato il crossover tra dubstep e techno su nuovi inesplorati livelli.

La cassa è tornata ad essere in 4/4 ma gli echi dub metallici si trascinano pesanti come catene riportando alla memoria i fantasmi dell’antico True Spirit. E’ solo per merito del bellissimo ep di Pangea (contaminazioni house, 2 e dubstep di scuola Appleblim) che possiamo godere di un flebile spiraglio di luce.

E’ tempo però di scendere nella main room dove Kelpe sta terminando il suo live idm forse eccessivamente penalizzato dalla batteria suonata dal vivo.

Il set finisce ed è finalmente ora dell’attesissima performance di Four tet fresco di nuovo album.

C’è talmente tanta gente che è difficile persino respirare quindi non mi resta che buttarmi su un divanetto e lasciarmi cullare dalla musica. There is love in you non si balla con le gambe ma con il cuore.

A svegliare i muscoli ci pensa Dan Deacon anche se dopo una mezz’ora diventa troppo monotono ma d’altronde non tutti sono al livello di Otto Von Schirach.

Torniamo infine ai piani alti per l’ultimo act della serata quello che vede ai piatti l’olandese 2562, esponente della corrente techstep.

Il ragazzo parte in sordina con una ritmica dritta e stralci dubtech ma dopo la prima ora incomincia a salire e a spezzare i beats con un basso che prende le sembianze di un Tristo mietitore. Ogni tentativo di fermarlo è inutile e quando alle 6 è venuto il momento di spegnere l’impianto il pubblico è così fomentato che 2562 riaccende tutto e va avanti fino alle 7.

Per me niente after con Villalobos al Panoramabar, mi devo alzare presto per andare a comprare i dischi da Hardwax. Il prode Simone KK tornerà in ostello alle 11 e mezza.

Il sabato lo passiamo in giro tra Kreuzberg e Mitte incontrando vari esponenti di quello che il KK definisce Governo in esilio, ovverosia il gotha dei promoters italiani che, come ogni anno si da appuntamento a Berlino in occasione della Transmediale.

La notte seguente incomincia ancora prima di mezzanotte, sempre al WMF, per gli showcase Raster Noton e Wagon Repair.

La festa organizzata come le antiche terme romane prevede una sala frigidarium con i suoni glaciali della label tedesca che per l’occasione mette in scena i protagonisti della sua nuova unun series (unico assente sul palco Mika Vainio comunque tra il pubblico), ed un’altra calidarium con il progetto corale The Modern Deep Left Quartet che riunisce in un’unica live band Mathew Jonson & The Cobblestone Jazz, The Mole, Deadbeat con il prestigioso featuring di Tikiman.

Di sopra il leggendario Uwe Smith con il progetto ATOM fonde il rigore dei Kraftwerk con quello del minimalismo innalzando una barriera di ghiaccio in cui è difficile sentirsi a prorpio agio, specie dopo aver provato il calore della sala inferiore.

I ragazzi canadesi hanno tirato su quello che senza troppe storie quello che potremmo già a febbraio incoronare live act dell’anno: ben 2 tavoli pieni zeppi di synth analogici, giradischi, drum machines, vocoder, computers e persino un organo stile Hammond sono gli strumenti di uno show che andrà avanti per ben sette ore e mezza!!!

L’incredibile è che in una performance così lunga non c’è un solo momento di noia o monotonia, e la scelta di seguire lo schema adottato da Steve Reich per i suoi 18 musicisti intercambiabili è assolutemente perfetta, specie poi se puoi contare su un The Mole incontenibile.

Il gruppo tocca almeno 5 generi musicali diversi e ridisegna le geometrie del techjazz detroitiano, senza dimenticare di far gridare i clubbers con le hits W, Decompression e Marionette.

La festa si chiude in bellezza al guardaroba con tutta la fila a cantare insieme la romanticissima True degli Spandau Ballet.

La domenica è dedicata alla cerimonia di chiusura dell’evento per cui andiamo alla House der Kulturen der Welt per ammirare le ultime installazioni e per assistere ad una purtroppo deludente performance di artisti cinesi che non aggiunge nulla a quanto già visto finora.

Il nostro aereo è al mattino presto e quindi non andiamo nemmeno a dormire, vogliamo portare con noi quanta più Berlino possibile.

Federico Spadavecchia

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