Anthony Rother “Popkiller II” (Datapunk rec.)

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L’assassino torna sempre sul luogo del delitto e non fa eccezione Anthony Rother, l’uomo macchina già erede designato dei Kraftwerk, che a sei anni dalla svolta Pop del fortunato album Popkiller, un contenitore quasi inesauribile di hit tra cui Father e Back home, esce nei negozi con un nuovo lp dal titolo manifesto Popkiller II.

Il produttore di Francoforte si attiene scrupolosamente alla regola fondamentale dei sequel ovvero dare al pubblico del primo episodio esattamente ciò che esso si aspetta, vale a dire i medesimi personaggi, una trama lineare che metta a dura (ma neanche troppo) prova l’eroe, e l’immancabile lieto fine.

L’apertura di Night non lascia dubbi: appena un minuto e mezzo a riassumere in toto il Rother pensiero fatto di beats electro in 4/4 e grandi melodie malinconiche suonate rigorosamente con synth analogici.

Tocca poi a Disco Light farsi carico del giro di basso e del cantato tutto buoni sentimenti a la Back Home (close your eyes and dream about the day/the day that was the best time in your life…Remember me/ remeber you/remember all the others/and think about the great moments in love) per caricare l’ipnotica electro house di Crushing da ballare all’aba con le mani al cielo e saltando sul ritornello finale.

Il consueto omaggio ai padri di Dusseldorf sta in Cinema con qualche bpm in più.

Il ruolo che fu di Punks spetta invece a Big Boys (that playin’ in the big games/that usin’ the big toys…) cantata in vocoder e melodia in crescendo.

Per sognare continuando a ballare c’è Skyline, lunga suite electro trance per gambe e sinapsi.

Ed eccoci al momento clue ovvero a quella traccia cui spetta il difficilissimo compito di confrontarsi con l’anthem Father il cui titolo beh non poteva che essere Mother, e anche nei fatti siamo davanti alla Viva la mamma della Techno che col suo ritornello You’re always there sicuramente scioglierà i cuori anche dei clubbers più duri (e non oso immaginare l’effetto per chi è calato…).

Meno male che a squoterci ci pensa l’intramezzo Gates!

Finale con l’edonismo ’80’s di Rotation e l’imperiosa Grab your life, per un album che ad un pubblico esigente non suonerà altro che come una raccolta autoreverenziale di poprie cover (senza il potenziale da hit maker del numero uno) mentre i fans più accaniti lo accoglieranno con estrema gioia.

Federico Spadavecchia

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