Il Timewarp di Mannheim è da molti anni a questa parte il rave, o festival, come si dice adesso per essere intellettualmente ben voluti, più importante della stagione primaverile e merita almeno una volta nella vita una bella visita.
Come vi avevo già raccontato nelle scorse puntate con un gruppo di amici abbiamo sfruttato la scusa del Time per dedicarcio ad un intenso weekend a base di clubbing gustandoci il venerdì sera al prestigioso Cocoonclub ed il sabato mattina al mitico Robert Johnson.
Ci eravamo infatti lasciti con la nostra ricerca di un posto decente per riposare qualche ora prima del grande ed atteso evento. La sveglia suona puntualmente e per mezzanotte siamo già in viaggio per Mannheim, che dista quasi 90 Km da Francoforte.
Ora bisogna precisare che in realtà il Timewarp inizia molto presto, e che già in partenza è possibile ascoltare nomi importanti della scena (ad es: Karotte e dj Koze) ma tuttavia è necessario tenere conto del fatto che la festa terminerà alle due del pomeriggio seguente e che quindi urge fare delle scelte mirate su chi sentire e chi no.
Ecco, il grosso richio di eventi di questo tipo così imponenti (addirittura 5 le sale allestite per questa edizione) è di perdersi tra mille cose e alla fine non godersi nulla.
Per quanto mi riguarda di comune accordo con i miei compagni di viaggio abbiamo stabilito fin da subito di dare la precedenza alla musica a discapito di qualsiasi grosso nome o moda dominante.
In parole povere niente Sven Vath, che al di fuori del suo Cocoon è soltanto intrattenimento autocelebrativo, niente Hell e Liebing, che vivono il periodo più anonimo della loro carriera, e idem per Monika Kruse. L’obiettivo della serata saranno principalmente i nuovi talenti, i quali sfrutteranno a dovere questa vetrina per dare sfoggio di tutte le loro qualità migliori.
Appena arrivati ad accoglierci troviamo, oltre ad un freddo micidiale, Guy Gerber, neo arrivato in casa Cocoon ma con alle spalle già collaborazioni importanti in ambito prog house con la Renaissance rec. e la Saw rec.. Il suo live act è basato su Ableton e controller midi e ritmiche minimali con innesti progressive deep che gli conferiscono un’originale eleganza. Ci godiamo il set per due ore circa e quindi ci apprestiamo ad assistere al primo cambio della serata: da Tel A Viv ad Amsterdam, dal deep al groove, uno dei nomi che m’interessavano maggiormente, signore e signori: la bellissima Shinedoe!!!
Eccola salire in consolle Shinedoe, con il suo fisico atletico da modella avvolto in un vestito primaverile, a fiori, ed un carico enorme di dischi e cd.
Basta il primo disco a far esaltare la pista, le sue armi segrete sono energici tribalismi, suoni di derivazione detroitiana, gran tecnica (non ha mai toccato una manopola tanto per fare) che le ha permesso di salvare la situazione quando le puntine hanno incominciato a fare i capricci, e uno splendido sorriso che non ha perso neanche quando la sfortuna e l’idiozia umana sembravano essersi accanite contro di lei in una serie di scenette grottesche, roba che una persona normale avrebbe mollato a ragione un paio di sganassoni.
La gente balla sorridente senza fermarsi mai, il fiume di note quasi ci sommerge, e come la marea sale e scende in continuo tenendoci tutti col fiato sospeso. A fine performace il nostro gruppo si divide sulla coda da fare al bagno e così un solo fortunato riesce a godersi l’ultima mezzora di Dave Clarcke, definita fenomenale per tecnica e carica, mentre noi altri sentiamo un po’ la giovane Mannon che però a mio avviso lascia alquanto a desiderare e poi ci dirigiamo verso l’erede designato dei Kraftwerk: Anthony Rother.
Tuttavia a causa della calca nella sala (era quella di Sven e Richie) dobbiamo accontentarci di assistere soltanto all’ultima parte del live con i pezzi strumentali più calmi e con When the sun goes down a chiudere.
Devo dire che in un periodo come quello attuale, dove i live act nascono come funghi per via delle nuove meraviglie tecnologiche, vedere una performace come quella di Rother è davvero affascinante: un uomo solo circondato dalle macchine che sembrano quasi sovrastarlo, ma che in realtà è lui stesso a dominare, musica elettronica il cui cuore è l’essere umano.
Finito anche questo spettacolo il dancefloor viene letteralmente invaso, come se il pubblico lasciasse vuote tutte le altre arene per accorrere qui in massa. Beh d’altronde sono le 7 del mattino e sale in cattedra Mister Richie Hawtin per la sua speciale maratona di ben 7 ore.
Immerso nel buio della sala Richie comincia il suo lungo viaggio con dischi dalla battuta lenta e cadenzata mentre alle sue spalle vengono proiettati visuals rappresentanti il minimalismo musicale.
Avendo già avuto il piacere di ascoltare il patron della M_nus in extended set appena il giorno prima, preferisco uscire da quella buridda di corpi sudati facendo rotta nuovamente alla sala degli emergenti per ascoltare un altro dei Dj che più m’incuriosivano: Raresh.
Nativo della Romania Raresh è un giovane dalla faccia pulita di appena 23 anni, ed è già ritenuto uno dei migliori elementi del panorama elettronico internazionale, senza contare che è stato indicato da Ricardo Villalobos come il suo erede naturale.
Così sotto la diretta benedizione di Ricardo stesso, il piccolo talento dell’est inizia la sua performance col sole già alto ad illuminare la pista dalle pareti a vetro.
Il set di Raresh fa venire in mente un bambino di 6 anni che gioca a fare il batterista con mestolo e pentole da cucina, ma con la particolarità che quando eravamo noi a farlo ottenevamo solo le urla di disapprovazione dei nostri genitori, mentre lui appare concentrato come un musicista free jazz e consapevole di stare mandando in orbita il dancefloor.
Alle 9 con la fine del set la sala viene chiusa definitivamente e a noi non resta che trasferirci al cospetto di Villalobos.
Più volte ho paragonato il Dj cileno ad un pittore che copre la pista con pennellate di note ed emozioni, ma questa volta si è davvero superato. Già dall’aspetto si può notare che c’è qualcosa di diverso in lui: pulito e non devastato come ervamao abituati a vederlo in queste occasioni, indossa una felpa calda e non la solita t shirt sudata da battaglia.
Qualcuno dice che siano gli effetti positivi del suo recente matrimonio, ma l’unica cosa certa è che è davvero bello vedere Ricardo, completamente a suo agio, suonare davanti a migliaia di persone come se suonasse per pochi amici intimi mettendo in evidenza tutte le sue qualità. Il suo set è un insieme di atmosfere dolci, familiari, qualcosa per la tua anima e la tua mente a cui non si può che rispondere ballando fino alla fine perdendo ogni contatto con le ormai inutili dimensioni del tempo e dello spazio.
Sono le 11 e ormai la nostra avventura in terra tedesca sta volgendo al termine e durante il buon live degli Extrawelt riprendiamo fiato, mentre i due ragazzi di casa border community portano avanti una performance bella carica che man mano lascia sempre più spazio alle melodie.
Ed eccoci quindi all’atto finale, il dj set di James Holden, che avvalendosi di sonorità a metà tra minimal e l’IDM più melodica ci prende per mano per riportarci al crudo e freddo mondo reale.
Ironia della sorte però, il gelo notturno ha lasciato il campo ad un magnifico sole estivo che ci permette di uscire dalla pista e appisolarci al caldo godendo delle ultime note.
Federico Spadavecchia