Giuseppe Culicchia “Brucia la città” (Mondadori)

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Nella Torino ultra trendy post Olimpiadi i Dj’s Iaio, Zombi e Boh animano le notti al Tortuga giù ai Murazzi vicino al Beach e al Sax, mentre di giorno frequentano il giro che conta dividendosi tra ragazze con la frangia ed il tatuaggio tribale sopra il culo come quella tipa del Grande Fratello, pseudo lavori creativi (Iaio è un copy dell’agenzia F.U.F.F.A. e per contratto deve girare con una tavola da surf sottobraccio), il cercare di far fronte ad irrimediabili vuoti esistenziali con fiumi di champagne e cocaina, e naturalmente l’eterna gara fraticidia per accaparrarsi l’unica copia di Spastik di Richie Hawtin remixato da Dubfire dei Deep Dish.
Giuseppe Culicchia con il suo tredicesimo romanzo consegna al pubblico un’opera complessa che si presta a più chiavi di lettura risultando tanto avvincente quanto irritante ed iperrealistica.
Sebbene, infatti, l’idea di far muovere i propri eroi all’interno di una Torino reale in contatto con personaggi reali (il continuo elencare tutte le celebrità locali in ciascun evento citato: da Boosta con la Lessa all’autocitazione dello scrittore Culicchia) risulti inizialmente perfetta per analizzare e criticare il mondo del Clubbing cittadino, con l’evolversi della trama il suddetto artifizio diventa un peso per il lettore ancor più che per il protagonista vittima del suo stesso status.
Approfondendo il discorso sulla scena discotecara è condivisibile per intero l’osservazione su come per i gli attuali P.R. sia del tutto ininfluente il prodotto da supportare (non c’è differenza tra una serata o un partito politico), e l’ignoranza musicale della maggior parte del pubblico/gregge idolatrante personaggi patinati come Boosta o Samuel ritratti ovunque tranne che in consolle (al contrario di Pisti che almeno una volta viene descritto alle prese con mixer e piatti; per inciso a me fa cagare pure lui) in compagnia di modelle o in fuga da groupies minorenni.
Anche l’accusa feroce alla classe dirigente politica ed imprenditoriale trova in larga parte il mio sostegno: il fare sistema di assessori quali Mintasco, Mincenso o Marrangio (ed i loro lacchè, un tempo studenti votati alla protesta ed oggi amanti di lussosi appartamenti, ma sempre con addosso l’Eskimo che conservano dal ‘68) è una nitida fotografia di come i c.d. piani per i giovani, sia sociali che culturali, non siano altro che una scusa per accaparrarsi voti, comparsate in tv e soprattutto incarichi danarosi, restando sempre e comunque pronti a cambiar casacca non appena gira il vento.
Culicchia a questo punto si fa prendere la mano ed inciampa.
Non si può ignorare quanto di meritevole fatto nella Capitale sabauda: eventi come il Club To Club, il Traffic, l’IAM Festival (o il primo inarrivabile Movement) sono situazioni di primissimo piano, ed ancora la capacità dimostrata nel mettere in piedi tutte le serate musicalmente attente sparse per la città per mano di ragazzi in gamba e pieni di passione.
Tutto questo di certo non merita di finire nel suo tritacarne.
Per quanto riguarda invece il romanzo in sè è accattivante quanto basta per non far sentire il peso delle sue 300 e rotte pagine, ma di nuovo si tratta di una medaglia dai due lati.
Da una parte la prima metà del libro che, beneficiando dell’elemento realistico di cui abbiamo parlato prima, non ci permette di abbandonarlo per un solo minuto, quindi la seconda in cui Culicchia commette l’errore fatale di cedere alle lusinghe di Bret Easton Ellis, per il quale aveva tradotto il capolavoro American Psycho e l’ultimo Lunar Park, finendo così per inquinare la trama, trasformando il Quadrilatero Romano in Manhattan (i Murazzi paiono invece il Bronx), ed i giovani finti alternativi dallo stile finto povero in drogati cronici e sessualmente ambigui appena usciti dall’Università di Camden (il luogo in cui si svolge Le regole dell’attrazione di Ellis n.d.r.) capaci di compiere le azioni più assurde e violente; anche la scrittura da brillante diventa ipocrita, ricopiando fedelmente alcuni marchi di fabbrica dell’autore californiano.
In definitiva però, nonostante i suoi difetti, Brucia la Città rappresenta un’ottima occasione per tenere gli occhi lontani da facebook.

Federico Spadavecchia

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