Claudio Coccoluto & Pierfrancesco Pacoda ”Io, DJ” (Einaudi)

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Ci sono storie che quasi scalciano per essere raccontate, e ci sono movimenti artistici che vogliono gridare a tutti le proprie ragioni rivendicando una posizione più consona davanti alla sempre più generalista opinione pubblica.

La storia della musica elettronica, indissolubilmente legata a quella della figura del Dj, è una perfetta sintesi di queste categorie. Molti autorevoli autori, internazionali ma anche nostrani, hanno affrontato l’argomento, ciascuno dei quali sottolineando un particolare aspetto di un genere musicale che, meglio di qualsiasi altro, incarna l’idea stessa di movimento (ragazzi che si muovono per andare a sentire un particolare Dj, i ballerini che ballano sulla pista, appassionati che cercano il vinile perfetto in oscuri negozi di dischi ecc..), e che proprio perciò può essere illustrato solo attraverso veloci istantanee scattate per immortalare lo scenario del momento, consci del fatto che domani ci saranno nuovi paesaggi da osservare.

Ultimo a dare la sua versione dei fatti è Claudio Coccoluto, forse, anzi certamente il Dj più conosciuto d’Italia, che, avvalendosi della complicità di un giornalista del calibro di Pierfrancesco Pacoda, tornato sulla scena del crimine dopo l’ottimo “Sulle Rotte del Rave” (Feltrinelli Traveller), col pretesto di una biografia ci regala un ritratto della sua club culture: dalla nascita di staff storici come gli Angels of Love di Napoli al Goa di Roma fino alla conquista dei dancefloor di tutto il Mondo.

Il tono, chiaro e diretto, è quello delle belle chiacchierate che si fanno all’uscita dal club, quando la gente si riversa in strada e si riesce a scambiare due parole con il Dj, non soltanto per ringraziarlo delle emozioni provate ma anche per discutere di dischi, chiedere consigli su come migliorare i propri set, e magari ridere insieme di qualche aneddoto da discoteca, il tutto senza l’ombra di sterili divismi, un pò come se si fosse appena incontrato un amico che non si vedeva da tempo.

Sinceramente parlando non sono mai stato un fan sfegatato del Cocco nazionale, molto probabilmente perché appartengo a quella setta di puristi Techno un po’ mena-belino che cercan sempre la virgola fuori posto (“Ragazzo non si fa un disco per divertimento!” disse Derrick May a Laurent Garnier dopo aver ascoltato “Acid Eiffel”) e che non digeriscono troppo la commistione con gli ambienti più Pop, quindi pur apprezzandone l’indubbia classe, mi perdonerà se per lui non mi sono mai strappato i capelli (e non solo perché già a livello genetico rischio la calvizie).

Fatta questa doverosa premessa ammetto che la lettura di “Io, DJ” mi ha realmente catturato e insegnato diverse cosucce alle quali noi Technofili non diamo, sbagliando, la giusta importanza: non si tratta, infatti, di una semplice seppure interessante lezione di storia musicale, bensì di una sottile e brillante teoria di marketing all’avanguardia con la quale valorizzare al massimo la nostra passione più grande.

Per Claudio Coccoluto mettere i dischi non è né un lavoro, né un sistema come un altro per arrivare al successo, ma più come una filosofia Zen è una costante ricerca del proprio Io, un continuo migliorarsi e rinnovarsi facendo star bene tanto sé stesso quanto gli altri. Non a caso l’idea espressa con più forza nel libro è la condivisione di un sogno/passione/gioco che diventa naturalmente progetto e idea imprenditoriale destinata a vincere le sfide di un mercato iper-suscettibile come quello discografico/discotecaro.

Forse oggi non avete trovato dischi così straordinariamente belli per rimpinzare la vostra borsa, beh pazienza, vorrà dire che ci sarà lo spazio necessario per un Signor Libro.

Federico Spadavecchia

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