“E’ vero che a Genova ci sono già i Japanese Gum ma trovo che Japanese Dildo Box sia un nome perfetto per un gruppo indie…” e no, questa non è una di quelle lucide intuizioni da lunedì pomeriggio all’uscita dal Panorama bar mentre aspetti un Big Mac, o un Bratwurst (mit Brotchen und Maio naturlich), ed una metro veloce ad Ostbahnhof.
No, in realtà la suddetta affermazione mi è uscita osservando la bacheca vuota che l’avrebbe dovuto contenere non all’Erotik Museum di Fasanen Strasse, ma niente meno che al museo ebraico dietro Check Point Charlie: un’imponente struttura metallica con piani sbilenchi tagliati da specchi talmente allucinata da far invidia ai cattivi del Batman di Adam West (Gulp!)
D’altronde Berlino è così, e per capirla forse quello è il posto giusto perché tra tutti quei giochi di buio cosmico e di luci riflesse è racchiusa l’essenza di una città che cela la propria storia tra clubs, atelier ubercoolische, e laboratori artistici di ogni sorta.
Alle dieci del mattino fa un certo effetto passeggiare sotto il sole (che non preoccupatevi presto lascierà il posto ai classici nuvoloni grigi) dal Berghain al Watergate, appena una fermata di S-Bahn Ostbhanhof-Warschauer Strasse, ma abbastanza per rendersi conto che un bel pezzo di Muro è ancora lì dove era stato issato, ma con tutti i murales pacifisti che porta adesso più che uno strumento di terrore appare piuttosto come un lungo flyer di una serata psichedelica.
Per quanto riguarda la musica, invece, beh sta cambiando anche se ancora la gente non lo sa, o meglio ne è inconsapevole perché sta venendo avvelenata lentamente con uno stillicidio di dub.
I parties al Panorama e al Watergate sono stati illuminanti: tolta infatti la grandissima goduria di passare il sabato mattina nell’enorme centrale energetica di Friedrichain e di salutare un bel po’ di amici, tra cui uno stanchissimo Mathias Aguayo, è chiaro come ormai lo shuffle beat di casa Kompakt sia rimasto un piacevole ricordo e che il tentativo di rimpiazzarlo con la neo trance sia stato abbonadentemente fallimentare. Certo che però quando l’ultimo acquisto della label di Colonia, pur all’interno di un set non esaltante, butta sul piatto Panoramix di Laurent Garnier … sudar e lagrimar vedrai li insieme…
Al club sotto l’Oberbaum Brucke, invece, siamo finiti alla sera dopo un bel duello con il Primary Colour Festival a Spandau…e a posteriori fortuna che siam rimasti a Kreuzberg visto che l’evento supportato con forza da Resident Advisor è stato ben al di sotto delle aspettative (150 persone contro le 600 previste) e da Space Hall mi è arrivata voce che Len Faki non abbia nemmeno suonato (qualcuno che c’era può confermare?).
Tornando al Watergate la serata si era già messa sui binari giusti fin dall’entrata, quando si son rifiutati di di far entrare due fighettine spagnole che in coda non la smettevano di far le sceme col cellulare; non sei qui per la musica? Ok, allora puoi andare benissimo da un’altra parte…
In main room sotto una via lattea artificiale di mille colori si alternernano la new sensation from Mannheim Johnny D e il veterano Andre Galluzzi. In sintesi potremmo dire la nuova scuola contro la vecchia.
Il golden boy della Oslo records sfoggia infatti un laptop live tutto imperniato su sonorità nu house con bonghetti, voci femminili e tanto groove; peccato però che verso la fine qualcosa va storto, i bassi iniziano a spernacchiare e il povero Johnny diventa verde per la vergogna con la tragica conseguenza di dover andare avanti per dieci minuti buoni senza cassa e terminare il set a volume radiolina da spiaggia.
Arrivati in un modo o nell’altro al momento del cambio di consolle ci pensa Andre Galluzzi a riaccendere la festa dando gas a un impianto supplicante di essere sfruttato a dovere.
Ableton sarà anche uno strumento rivoluzionario per la musica elettronica ma la differenza tra il suono del pc e quello del vinile si sente eccome: è bastato infatti appoggiare la puntina sul primo solco che subito il locale è stato messo sotto assedio dal suono; le note hanno occupato ogni spazio rimasto vuoto…
Andre è stata una delle più belle sorprese di questo mio soggiorno berlinese; sarà che a stare nel giro Cocoon mi è venuto naturale snobbarlo un po’ dimenticando lavori interessanti come il suo progetto Taksi, o il fatto che sia stato uno dei primi resident al Panorama bar…Grazie al cielo quella sera ho potuto rimediare: il verbo della serata è chain reaction.
Per oltre quattro ore Andre annulla ogni spiraglio di luce con una cassa battente e oscura; la “melodia” è affogata nel dub di echi e delay come da tradizione Basic Channel, unica eccezion fatta sono schegge di chitarre latine utilissime a non affaticare troppo i ballerini. Siamo troppo coinvolti per abbandonare la pista e scendere nella saletta Spree side per vedere cosa succede, e fino alle nove del mattino non conosciamo riposo.
A proposito del sound proposto da Galluzzi c’è da rilevare come la label nata tra le mura del mitico Hardwax si sia presa il serio impegno di riportare in auge il dub ed in particolar modo il dubstep, importandolo nella madre patria della minimal techno con risultati eccezionali, come dimostrato dal grande successo della prima serata targata Sub:Stance (organizzata per l’appunto da Pete “Substance”) tenutasi al Berghain, o dal fatto che persino nel noto centro artistico-sociale Zapata, nella chiccosa Mitte ad Oranienburger Tor, der nuer Sound aus London ha conquistato ogni woofer presente.
Per chiudere il giro dei parties ci stravacchiamo su una panca al Club der Visionare, un locale davvero unico per il clima di assoluto relax e voglia di buona musica, dove Dj’s famosi e non sono trattati nella medesima maniera venendo pagati con un euro per ogni prima consumazione del pubblico.
In consolle domenica sera troviamo Ryan Crosson insieme a Seth con un set molto poppish mentre al martedì incontriamo il nostro connazionale Tommel che sta a metà tra la minimal e la nu house, unica vera alternativa al dub. La minimale in stile M_nus è ormai roba da grandi discoteche italiane…
Federico Spadavecchia