Ho comprato questo album appena uscito qualche mese fa, ed è così bello che oggi ne parlano tutti, e fan bene, mentre io, proprio perchè si tratta di un gran disco, pensavo fosse inutile starne a discutere ritenendo il pubblico abbastanza maturo per accorgesene senza bisogno di imboccate di alcun tipo.
Ora però in questa folle corsa a chi è più figo e/o avanti ci si sono tuffate completamente vestite le maggiori, ma anche le minori, riviste del settore, indi per cui mi piacerebbe fare la figura del pigro custode della piscina che avverte l’atleta ormai per aria che la vasca è vuota.
I fatti da tenere presente nell’affrontare “Diary of an Afro Warrior” non sono poi molti ma allo stesso tempo sono fondamentali per capire con che razza di genio abbiamo a che fare.
Innanzitutto, partendo dalla fine, i suoni raggiungono inauditi livelli di oscurità, atmosfere che perfino Burial (eh già qui si parla di dubstep) ha sentito l’esigenza di alleggerire; quindi si possono sentire gli echi di oltre dieci anni di scena inglese come se l’autore per tutto questo tempo fosse andato tutte le sere a ballare assimilando ogni singola nota dei djset proposti.
Benga è un ragazzo londinese di appena 22 anni. E per concludere il giovanotto in questione colpisce duro già dal titolo, esprimendo una consapevolezza postpunk sbudellata dai proiettili delle gang hiphop della East Coast.
Benga insieme al suo socio white Skream, una sorta di coppia alla Ringo Boys in chiave dubstep, ben rappresentano il futuro di una scena, quella londinese, che ha avuto il coraggio di puntare su giovanissimi talenti e su nuovi linguaggi.
Un coraggio che dalle nostre parti sembra non essere mai esistito visto che i Dj di fama, come del resto l’attuale classe dirigente, sono cariatidi che non vogliono staccarsi dalla consolle/poltrona. Da noi gli emergenti hanno 30 anni suonati; e badate bene che la colpa di questo triste teatrino è anche di un pubblico che non vuole allontanarsi da melodie collaudate e familiari, lontano anni luce da qualsiasi idea sperimentale, che mi obbliga a raccontarvi (e si spera farvi ascoltare) un album sensazionale come quello di Benga.
Federico Spadavecchia