Awakenings Festival ’08

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«Lo senti? Non c’è niente al mondo che abbia quest’odore.»

Soffia forte, il vento, sul cielo di Amsterdam. Le raffiche di suono squarciano l’aria di prima mattina e si protraggono fino a notte fonda, mentre gli eserciti asserragliati nei cinque avamposti sputano fuoco dalle torrette.

Oltre sessanta i cecchini: armati di vinili, cd, laptop e controller dominano il campo dall’alto delle loro consolle.
Ma come in ogni grande guerra, le ferite più profonde sono quelle psicologiche: minuto dopo minuto, per quattordici ore, dedichi anima, udito e cuore ad un unico artista ed alla sua musica, consapevole che nello stesso istante stai lasciando naufragare nell’etere altre quattro esibizioni.

Il mio Festival inizia senza compromessi: Area Y, Stacey Pullen. Le presentazioni ovviamente non servono per uno dei capostipiti della second wave di Detroit. Avvolgenti melodie deep si alternano a ritmi di stampo funky: la folla balla e riempie il tendone, il clima è perfetto e Stacey non delude.

Sono ormai alcuni anni che l’Awakenings offre il proprio tributo a quel primo filone techno concepito due decadi fa tra le ventose fabbriche della contea del Wayne, ed anche in quest’occasione un piccolo spicchio di terra olandese diventa ambasciata statunitense. Narcisista per definizione, Kenny Larkin ha stile da vendere. Suoni caldi e scuri scuotono l’intero stage per un’ora e mezza trasportando l’Area Y sulle sponde dei Grandi Laghi nordamericani.

Una sagoma in controluce si affianca a Larkin e in caserma scoppia un boato. E’ un viaggio a ritroso nel tempo, dalla seconda alla prima generazione, dagli eleganti eredi dell’impero ai padri fondatori della dinastia. Sedici e quindici, tocca a Derrick May.

L’inizio è energico, una techno spedita e brillante, accompagnata da una manipolazione feticista del mixer. L’ex ragazzo di Belleville ha ormai qualche annetto d’esperienza alle spalle e sa come tenere in mano la pista, regalando alla truppa una performance di livello.

Il sole fa capolino al dì fuori del tendone e ne approfitto per avventurarmi sul terreno di battaglia. Raggiungo il quartier generale nemico, situato su una collinetta denominata Area V. Un ectoplasmico Joris Voorn e il tenente colonnello Edwin Oosterwal danno vita a Rejected Live. Dalle prime file si domina la vallata e i suoni acidi del duo smuovono l’intero esercito.

Decido di concedermi una pausa: quattro minuti e tredici secondi per il rancio sono più che abbondanti. Il tempo è denaro da queste parti.

Mauro Picotto prende in mano il timone del vascello, proponendo una techno di matrice elettronica più che godibile. Tutt’intorno fioccano i bombardamenti: The Youngsters & Scan X Live si avvicendano con Joel Mull nel sommergibile nucleare, Felix Krocher cede il panzer ai fratelli Remus, mentre Villalobos spallina e strombetta all’estremità occidentale del Festival.

Solenne e irrevocabile arriva la chiamata alle armi: Derrick May porta a termine la propria missione, quando il generale Kevin Saunderson si appresta a pronunciare il discorso alla Nazione. Non capita tutti i giorni di ascoltare uno in fila all’altro due terzi di Storia della techno. The Elevator traghetta la truppa in una crociata elettronica ricca di groove, a cavallo tra vibrazioni nere e profonde e l’house dei primordi, concedendo sul finale un prolungato Big Fun.

Sale in regia DJ Bone, mr. Subject in carne e cuffie. E’ bello sentirsi a Detroit. La sua è una techno veloce, acida e pungente, affilata e tagliente: sono i sobborghi di una città industriale che emergono e sconvolgono il mondo intero.
Otto di sera, è turno di ronda. I sempre romantici coniugi Pet Duo capovolgono allegramente l’Area Z, mentre Steve Rachmad governa la V con un sound non eccelso.

Sopraggiungono notizie di un attacco in corso sul versante nord-ovest, nei pressi del lago (sì, se ve lo state chiedendo, dentro l’Awakenings c’è un lago!). L’armata Drumcode non risparmia cartucce e da buon condottiero Adam Beyer è in prima fila. Anfibi ben stretti e passo pesante, per una techno corposa lontana anni luce da qualsiasi amnesia pseudo-minimale.

Sul far della sera l’offensiva si intensifica. Una doppia raffica di missili si abbatte sull’Area Y, scagliata dagli impietosi Christian Wünsch ed Oscar Mulero. Potente ed aggressivo, il loro è un sound che non fa prigionieri.

Sono le nove e mezza ed il sole è ormai tramontato quando faccio ritorno alla piattaforma X, per quello che forse può esser considerato il miglior set del Festival. La flotta Drumcode manda in campo l’artiglieria pesante: Ortin Cam Live. Impossibile la fuga, inutili i rifugi antiaerei. L’onda d’urto del muro di casse sgretola all’istante qualsiasi barriera, lasciando esplodere in tutta la sua potenza l’arsenale bellico del bombardiere belga. Bassi profondi come il fondo dell’oceano, ritmo alienante, ossessivo e violento. In una parola: techno. Dura e cruda.

Dieci di sera, ultimo atto.

Mentre Kvitta & Ranieri radono al suolo l’intera Area Z, Ben Sims mette a ferro e fuoco la Y. Il rastrellamento finale nel quartiere X è affidato a Cari Lekebusch, che non si lascia certo pregare e travolge la pista con raffiche di groove.

Come se non bastasse, oltre il danno la beffa: Joel Mull sbeffeggia le vittime indossando una maschera raffigurante Beyer, mentre il suddetto Adam ingoia il microfono e lancia alle truppe segnali subliminali.

Gente strana quelli della Drumcode.

Cinque minuti in zona W bastano e avanzano per l’estrema unzione a un ex simbolo della musica techno: ombra di se stesso e di quel passato in cui la sua musica incarnava il futuro, Richard Michael Hawtin pare ormai accecato da lustrini e paillettes e dalle troppe bollicine dei calici di champagne. Da icona della sperimentazione ad animatore di villaggi vacanze ibizenchi: non certo il migliore dei finali.

Resta un proiettile in canna, l’ultima cartuccia. La linea sottile che separa il terreno di battaglia dal ritorno in patria.

Dall’alto della sua postazione Dave Clarke incendia la valle. War on the saints esplode nell’aria accompagnata da razzi infuocati.

Cinque laser si rincorrono sullo sfondo verde del parco disegnando geometrie di incredibile bellezza, mentre il comandante inglese trasporta le truppe in un viaggio old-school, all’interno dei più acidi ed oscuri meandri della techno.

I fuochi d’artificio illuminano la notte dell’Awakenings.

«Lo senti? Non c’è niente al mondo che abbia quest’odore.
Mi piace l’odore del Napalm al mattino.
Profuma come… come di vittoria»

Andrea Pregel

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