Mulini a vento, belle ragazze bionde, tulipani, free joints, e ah, quasi dimenticavo quei cavolo di biscotti che danno più dipendenza di qualsiasi altra sostanza. Signori questa è Amsterdam, capitale olandese, casa di artisti come Van Gogh e Rembrandt, e capitale del clubbing mondiale durante la terza settimana di ottobre.
Strana storia quella delle conference discotecare, vi ricordate il SIB di Rimini? E’ stata una delle convention più attese degli anni’90 fino a quando passata la moda dei mega locali notturni è andata praticamente persa, salvo poi essere riproposta negli ultimi due anni con l’unico guaio che a far da oratori ci sono sempre i soliti nomi e, se ascoltare una persona come Claudio Coccoluto può essere sempre fonte di riflessioni, non trovo alcuna utilità nel sorbirmi gente come i figli di Vannelli (!!!!) o pseudo dj come Tommi Vee.
D’altro canto neanche al leggendario Winter Music Conference di Miami sono messi molto meglio; certo c’è sempre una bella patina di glamour a ricoprire feste in alberghi lussuosi e palymates in bikini, ma anche laggiù del business se ne discute sempre meno e quel poco che è rimasto è ben saldo nelle mani delle major.
A completare questa panoramica il Midem di Cannes, Costa Azzurra, che tra tutti gli eventi è sempre stato quello più prettamente per addetti ai lavori, ma che da un bel pò sembra ignorare la scena dance underground.
L’Amsterdam Dance Event rimane quindi l’ultima situazione in cui è possibile dibattere di copyright e produzione di giorno e far parlare i dischi di notte, sempre accompagnati dai migliori nomi della scena internazionale.
La nostra prima serata olandese, a dir la verità, comincia già all’ora dell’aperitivo al K-Space dove sono ospiti Gilles Peterson, direttamente da Radio BBc 1, e Lopazz per la presentazione del suo ultimo album rilasciato dalla berlinese Get Physical.
Il locale è un negozio di scarpe tutto bianco riadattato a club, comprensivo di regia radio e un discreto free bar.
Durante l’intervista a Gilles (una delle persone più umili e disponibili mai incontrate) riesco a domandargli se il racconto di quella famosa volta in cui allo Space di Ibiza, suonando dopo Carl Cox, svuotò letteralmente la pista, fosse una leggenda o meno. Gilles, a questo punto con un aplomb davvero britannico, mi conferma sorridendo che era tutto dannatamente vero.
Il suo set è andato avanti per un’oretta: puro funk (vinili datati 1978..) e house sinuosa, sangue e vodka sono ormai un unico denso fluido.
Che dire poi di Lopazz, un pennellone alto alto con lo sguardo svagato come quei bambini che sanno di averla fatta grossa, che propone un assaggio del suo album con tanto di synth analogico, perchè lui preferisce ruotare le manopole di una macchina piuttosto che far girare un software su pc.
Dopo una nutriente cena a base di spaghettini di soia e verdure cinesi, che grazie al cielo non mi sono stati fatali come quest’estate a Berlino, ci dirigiamo allo Sugar Factory per lo showcase della Wave recordings di Francois Kevorkian.
Il suddetto club è nato da appena da tre/quattro anni ma da subito, per merito di line up ben costruite, si è saputo imporre come nome di riferimento. Non molto grande, giusto 500 persone, è dotato di un impianto potente e cristallino, senza tanti altri fronzoli a distrarre il pubblico dalla Musica, vera ed unica protagonista.
A scaldare i ballerini ci pensa Brendon Moeller alias Beat Pharmacy, uno dei producer che ho seguito con più interesse quest’anno, che svezza la pista a colpi di house secca e profonda, sporcata ogni tanto da secchiate elettroidi.
La performance di Moeller (tra l’altro va detto che per tutta la sera si sono visti solo vinili…) è un trip che porta via gambe e cervello: più va avanti e più diventa un viaggio nello spazio, specie quando tira fuori dalla borsa la versione vinilica dell’ultima compilation del nostro eroe Daniele Baldelli.
In quel momento avviene anche il cambio di consolle con Francois che sale in cattedra.
Francois K è uno di quegli artisti grazie ai quali oggi si può accostare il termine “culture” alla parola “club”, e a vederlo coi suoi occhialini a trafficare su mixer e piatti da l’idea di un vecchio mastro artigiano pronto ad insegnare il mestiere ai più giovani…e pronto anche a riprenderli di brutta maniera quando sbagliano a montare l’effettistica: il tecnico delloSugar si è preso una lavata di capo che non credo scorderà mai…
Il Dj di origine francese parte dai suoni spacey e poco alla volta rimette la questione su un piano maggiormente fisico, spiegando al pubblico l’house attuale con tanto di hits quali Trompeta di Sis, Underground Limbo di Roland Cristoph, e Coma di Sasha. Per il resto è tutto uno smanettare con gli effetti per produrre nuovi ritmi e melodie.
A chiudere il ciclo ci pensa il gigante newyorkese Tedd Patterson con un energico ritorno a Chicago e al suo dirty groove.
Una continua crescita esponenziale della tensione fino al boato finale alle 5.
Prima di andare a casa, però, troviamo ancora le forze per una capatina allo Zebra, un club da pimp my decks alla 50 Cent appena dietro lo Sugar.
Ai piatti, o meglio al pc con un ableton set, c’è un irriconoscibile Davide Squillace che tortura il pubblico, comunque abbastanza brutto da meritarselo, con una minimal sempre uguale senza uno straccio di dinamica. La calda energia phunk dei bei tempi, così come i tre piatti, ormai son solo un ricordo, e a noi non resta che ripercorrere le vie umide del centro per goderci il sonno dei giusti.
Federico Spadavecchia