Scrivere adesso questo reportage, con l’Italia che perde due a zero dopo l’orrenda partita dei Galletti d’oltralpe, è veramente frustrante: non tanto perchè mi tocca elogiare un Dj francese, il cui talento è comunque una delle ultime certezze rimaste al mondo, ma perchè mi costringe a fare i conti col nazionalismo di un popolo che è rimasto lo stesso di quello della Guerra dei cent’anni, e che per rendere omaggio al loro più importante artista contemporaneo non si pongono tanti problemi nell’aspettare immersi in una coda infinita, sfoggiando tra l’altro una moltitudine di tshirts inneggianti a Detroit (la sera prima con Mills ce l’avevo solo io…) come a reclamare la paternità del genere.
Ma procediamo con ordine, con la sveglia che suona verso le due del pomeriggio e il nostro pellegrinaggio per le strade parigine che riprende dal cimitero monumentale di Père Lachaise, dove un’arzilla mammina tentava di autografare la piccola cappella davanti alla tomba di Jim Morrison (per la quale gli eredi non è che si siano sforzati molto…) senza accorgersi di star rischiando la fucilazione da parte delle apposite guardie.
E’ una sensazione bizzarra osservare come questo luogo di culto sia ormai alla mercè dei turisti, con gente intenta a fare un ameno picnic sul prato (per non parlare di chi ha evirato (!!!) la statua di Oscar Wilde…) quando a pochi metri ci sono persone che piangono i loro cari.
La bella passeggiata prosegue lungo gli Champs elysées e termina con una cena veloce a base di Kebab e Dark Dog (l’equivalente francese della Red Bull); prossima fermata Bonne Nouvelle.
L’appuntamento con Laurent l’abbiamo atteso da un anno intero: ci siamo iscritti a newsletter, inviato mail a club e promoter, e quando ormai sembrava scritto che non avremmo mai visto il suo show in quella che a tutti gli effetti può esser definita casa sua, ecco che arriva la pubblicità del 20° anniversario d’attività.
Alle undici e mezza il nostro eroe è già dietro ai piatti (per lui ormai solo cdj 1000) e, rispettando il copione del suo programma radiofonico, dedica la prima ora di set alle nuove sonorità dubstep provenienti dalla Gran Bretagna.
Il basso scuro e profondo ha l’effetto di un morbido divano sonoro dove tutti gli invitati possono sdraiarsi mettendosi a loro agio; inutile dire che alla fine di questo warmup il locale espone il cartello “sold out”.
Se Jeff Mills ci aveva impartito un’accurata lezione di storia, Laurent opta invece per insegnare al pubblico cosa voglia dire essere un Dj: seguendo la linea del basso comincia a raddirzzare la ritmica mantenendo però le atmosfere dub e, successivamente, le arricchisce di hit hat squillanti e melodie, ora sta proponendo nu house.
Il clima è così allegro e rilassante che perdo la cognizione del tempo; solo ad un certo punto mi accorgo che sto dormendo e ballando contemporaneamente.
La stanchezza del giorno si fa sentire, ma ecco il cambio di passo: la cassa si fa più marcata e all’interno del Rex riecheggia il vento della nuova progressive alla Sasha. I synth nuovamente suonano nelle tenebre e il basso (braccio armato di Laurent) ordina a tutti i presenti di non stare fermi (da notare che la security sta molto attenta a che la gente non dorma sui divanetti).
Il dancefloor è bello carico e la mente non so più quanti Stargate abbia già attraversato quando dopo un paio d’ore Monsieur F.Com. butta sui piatti quattro canzoni rock, tra cui “Song 2″ dei Blur e “I wanna be your dog” degli Stooges, il cui ritornello dalla pista viene invece avvertito come un “I wanna be your God” da parte di Garnier (eh questo rock con i suoi messaggi pagani scritti all’incontrario).
Ma il vero delirio comincia ora, quando Laurent decide di dare retta al suggerimento che Simone KK gli passa appoggiando un foglio al vetro della consolle e suona, annunciandolo al microfono come i discjockey di una volta, una tempesta hardcore primi anni ‘90 firmata Lunatic Asylum (”The Meltdown” 1993).
Tentare di descrivere la reazione è impossibile, mai visto liberararsi in una sola volta così tanta energia…un’abbondante spruzzata di fumo denso come la nebbia della val padana segna il ritorno al proggy sound, e a me pare che tutti gli energy drink bevuti siano tornati sù all’unisono…
Il compito d’interromperre questo magico viaggio spetta ad un’altra traccia intitolata “Meltdown”, ma questa volta è opera degli Interstellar Fuggitives di Mad Mike, e la festa prosegue in un applauditissimo omaggio agli eroi di Detroit.
Garnier non si risparmia e frusta il dancefloor con violente catenate techno fino a quando non ritiene sia ora di concedere ai clubbers un pò di tregua, ormai stremati da questo gioco di ruolo sadomaso di schiavo e padrone.
La cassa torna così ad addolcirsi e nel giro di tre passaggi siamo tornati indietro alla nu house; sono le sette passate e per me il party è finito.
Abbandono il mio amico KK tra quei fuochi fatui che le strobo evocano illuminando il fumo artificiale, e mi sbrigo ad entrare nella metro prima di bagnarmi sotto una leggera pioggerellina; perso nei miei pensieri dentro il cappuccio della felpa mi viene in mente che forse l’unico anthem che avrebbe avuto senso suonare stasera sarebbe stato “God is a Dj”.
Federico Spadavecchia