20 anni di Rex Club: Jeff Mills

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Erano la bellezza di otto anni che non andavo a Parigi, l’ultima volta fu per il capodanno del 2000 con tanto di parentame al seguito e maratone culturali forzate da un museo all’altro. E no, a darmi lo slancio per trascorre un weekend nella casa della Gioconda non è stata la lettura di quella cagata pazzesca del “Codice Da Vinci”, ma la festa di compleanno del Club più importante del Paese, quel Rex in rue de Poissonniere che venti anni fà vide muovere i primi passi di Laurent Garnier, divenuto poi suo direttore artistico e mattatore.

Oggi dopo tutti questi anni spetta proprio a Garnier l’onore di chiudere una celebrazione portata avanti per ben un mese, che ha visto alternarsi ai piatti alcuni tra i nomi più importanti della scena internazionale, ognuno rappresentante una diversa sfumatura di musica elettronica, dando quasi l’impressione che Laurent scelga gli ospiti come fossero dischi da proporre nei suoi lunghissimi set.

A dimostrazione di ciò è il Dj invitato per la sera di venerdì, un artista che ha scritto non pagine ma enciclpodie circa la musica Techno: Jeff Mills.

Con la mia banda di allegri compari (un saluto doveroso al Subcomandante Simone KK, Mauro e Matteo) ci incontriamo direttamente a Parigi poco dopo l’ora di pranzo, e prima ancora di rimanere a bocca aperta davanti alla Tour Eiffel o Notre Dame, veniamo piacevolmente colti di sorpresa da un caldissimo sole estivo (la sera prima a Genova c’è stato un nubifragio) e dallo stile di vita estremamente rilassato dei Parigini, impossibile pensare che gente così tranquilla possa creare tutti quei disordini nelle periferie.

Senza alcuna fatica, tuttavia, ci adattiamo alle usanze locali e, tra una baguette al prosciutto e una birra chiara, trascorriamo il pomeriggio dapprima sui prati di Montmartre, quindi a goderci l’ombra dei giardini dietro Notre Dame, stando comunque attenti a non far tardi perchè al Rex le feste iniziano già prima di mezzanotte. Optiamo allora per una cenetta in un bistrò tradizionale, situato in un quartiere vicino al club dal nome a dir poco profetico: Belville, lo stesso di quello che diede i natali a Derrick May, Juan Atkins e Kevin Saunderson.

A mezzanotte siamo già davanti alla porta della nostra meta, e se non avessimo acquistato in rete il biglietto ci sarebbe toccata un’attesa di un’ora buona in coda.

Il Rex conserva ancora bene le sue origini da disco anni ‘80, essendo in pratica un unico spazio con divanetti e bar ai lati, soffitto basso, pista piccola in legno con inciso il proprio simbolo, e cabina a vetri del Dj, nella quale ha diritto di entrare solo l’artista e pochissimi membri dello staff.

Posate le giacche, e aver preso coscienza del fatto che i prezzi delle bevande (servite in eleganti bicchieri di vetro brandizzati) così come i giganteschi e severi buttafuori, sono tutt’altro che friendly, scopriamo che in consolle a colorare l’ambiente di funk è già Jeff Mills, attrezzato di piatti, cdj e l’immancabile batteria elettronica Roland Tr-909.

Le prime ore di set sono un morbido viaggio tra le disco di New York e le note del Paradise Garage, per poi virare verso le atmosfere soulfull di quella Detroit che prima ancora di divenire la Motor City era la Motown. Non è nemmeno l’una che il locale è strapieno e il caldo tropicale è al limite della sopportazione, fortuna che l’impianto, perfetto e cristallino, ci permette di arieggiare vicino l’uscita godendoci la musica come fossimo in mezzo al dancefloor.

Mentre Jeff continua ad aumentare la tensione, comprimendo il funk come un proiettile e trasformando magicamente gli hit hat da coriandoli di carnevale a gocce di mercurio, il nostro sguardo cade sul pubblico del Rex: inanzitutto è composto esclusivamente da gente adulta con una percentuale femminile altissima; in secundis non esiste un vero e proprio zoccolo duro di Technomani, soltanto appassionati di musica senza alcuna voglia di manifestare il loro attaccamento ad una scena piuttosto che ad un’altra, oppure più semplicemente ragazze e ragazzi che si vogliono divertire anche senza conoscere la differenza tra un Axis e un Tomorrow.

The Punisher ha ormai il controllo su ogni singolo respiro dei ballerini, ed io fatico terribilmente a seguire con lo sguardo i suoi movimenti, con quelle dita sottili e le falangi leggermente ricurve all’insù che sembrano fatte apposta per far correre gli slider del mixer. La cassa, come il sudore, non ci da pace e quando Jeff attacca a suonare live la drum machine si scatena il delirio collettivo, mentre lui da dietro il vetro della cabina di regia conserva una flemma ascetica concendoci soltanto un sorriso accennato.

L’uomo di Detroit è al comando di uno tsunami di suoni e note, che talvolta rallenta e si abbassa lasciando tutti a boccheggiare prima di sferrare il colpo finale spingendo la barca ad infrangersi contro gli scogli. Siamo quasi all’alba e Mills ha ripercorso vent’anni di storia della musica, tutta l’evoluzione del genere Detroit, adesso tocca a quegli anni ‘90 che l’avevano visto teorizzare insieme a Richie Hawtin la nuova dimensione minimale e la rivoluzione del significato di dj set.

L’ultima ora e mezza, invece, è una samba veloce e allegra, con l’onda anomala ormai ridotta ad un leggero sobbalzo a lasciare sul bagnasciuga una schiuma fatta di soul e jazz.

Il sole è già alto sopra la Torre Eiffel quando il party finisce, e a noi non resta che andare a riposare in attesa della celebrazione finale alla corte di Laurent.

Federico Spadavecchia

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